La mamma di Katerina: «Non sono riuscita a salvarla »

Rimini

RIMINI. Non sono riuscita a salvare Katerina e ho perso la testa: negli stessi giorni è morta anche mia madre in Russia. Il mondo mi è crollato addosso e ho perso lucidità, forse mi sono lasciata suggestionare da qualcuno che mi diceva che, da straniera, avrei passato dei guai. Adesso torno in Italia per spiegare tutto alle autorità». La madre sospettata di aver messo in valigia la figlia morta e averla gettata in mare parla al telefono con i suoi legali, gli avvocati Mario Scarpa e Ilaria Perruzza: oggi stesso comunicherà la data del volo per l’Italia e prima possibile sarà a Rimini per un faccia a faccia con il pm Davide Ercolani e gli investigatori della Squadra mobile. Non le importa più delle conseguenze ed è confortata dal pensiero di avere una seconda occasione per dire addio a sua figlia, dopo averla vegliata per giorni in casa, e poterle dare, stavolta, una degna sepoltura. In quella valigia, oltre al corpo, credeva di poter chiudere anche il dolore e la disperazione. L’averla ricomposta in posizione fetale è stato un gesto d’amore? Dietro a quell’atto si nascondeva il senso di colpa per non averla salvata e la paura irrazionale per una punizione che, in realtà, non sarebbe arrivata.

L’autopsia del medico legale, professor Giuseppe Fortuni, ha concluso che a uccidere la figlia della donna è stata soltanto l’anoressia: sul suo corpo non c’erano segni di violenza, ematomi, graffi e neppure piaghe da decubito. A modo sua, la madre, 48 anni, domiciliata in un piccolo appartamento del centro di Rimini, badante presso una famiglia di Rimini (il rapporto si era interrotto qualche tempo fa), dice di aver accudito la ragazza, cercando anche il sostegno della sanità pubblica. Dall’ospedale, in occasione di uno dei primi ricoveri, Katerina era stata dimessa con l’indicazione di farla seguire dal centro di salute mentale. A quanto risulta la madre, dopo essersi sbarazzata del cadavere, ha fatto ritorno in Russia (vive a Ufa, capoluogo della Baschiria, una delle repubbliche federate). Una volta affiorato il trolley nelle acque del porto canale, la polizia è risalita all’identità della ragazza grazie ai rilievi della Scientifica e la tecnica dell’idratazione dei polpastrelli. Grazie al permesso di soggiorno l’individuazione del domicilio e il collegamento con la madre sono stati immediati. Grazie ad alcuni dettagli rivelati sul giornale, lo stato di malnutrizione, la cicatrice, eccetera (prima che l’identità fosse rivelata dagli investigatori) un amico intimo della badante si è fatto avanti per aiutare a fare chiarezza. L’uomo, per primo, ha rivelato lo scenario del dramma: la donna, disperata per il lutto, aveva perso la testa nascosto il cadavere. Una “confessione” che lui stesso aveva raccolto al telefono quando le aveva confidato i suoi sospetti in merito al macabro ritrovamento di Rimini. Stando alla testimonianza dell’uomo, la ragazza sarebbe morta tra il 10 e l’11 marzo e il corpo sarebbe rimasto in casa per almeno una settimana. Quando la polizia, nei giorni scorsi, ha perquisito l’angusto domicilio delle due donne, nella zona di via Farini, si respirava ancora l’odore della morte.

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