La ragazza trovata morta nel trolley buttata nel porto dalla mamma

Rimini

RIMINI. «Si sono stata io a chiudere il corpo di Katerina in valigia e buttarla a mare». È un caro amico riminese della madre di Katerina, la ragazza di 27 anni ripescata sabato 25 marzo in un trolley nel porto canale, a raccogliere la confessione della donna rientrata in Russia 24 ore prima della scoperta della tragedia.

L’uomo, che dal 10 marzo non aveva più loro notizie, quando ha letto la descrizione di quel povero corpo, ha iniziato a nutrire i primi sospetti. Così ha incominciato a tempestare di telefonate l’amica. Che dall’altro capo del telefono raccontava di essere a Mosca dove era rientrata per le pratiche di successione dopo la morte della madre. Con lei, diceva, c’era anche Katerina che avrebbe dovuto essere visitata da uno specialista italiano che esercita all’estero. Bugie, come raccontava il numero italiano del cellulare chiamato dall’amico. Che ha continuato a incalzarla fino a quando non ha strappato la confessione. Con la crudele verità il testimone è volato in questura ed ha raccontato tutto quello che sa su madre e figlia agli investigatori della squadra mobile. Unica cosa che non è stato in grado di riferire, non avendo mai ricevuto risposta dalla donna, è stato il perché. Perché una mamma, seppur disperata dalla scomparsa della figlia che si è consumata sotto i suoi occhi giorno dopo giorno come una candela, ha vegliato per due settimane almeno il corpo in casa e poi abbia deciso di “seppellirlo” in questo modo.

L’ultimo aggiornamento dell’immagine di copertina della sua pagina Facebook, è datato 29 novembre 2014. Uno scatto che racconta come ancora la malattia non aveva manifestato i suoi terribili segni sulla psiche prima e sul corpo poi. Come per l’identificazione dopo il ritrovamento, anche darle un nome in Rete, è stato difficile. Katerina Laktionova, questo il suo nome, per evitare casi di omonimia (quattro quelli possibili), ha infatti sostituito la “K” con la “C”.

Dalla Baschiria alla Riviera

Katerina e la madre sono arrivate a Rimini da Ufa, capitale, centro industriale, economico, scientifico e culturale della Repubblica di Baschiria, due anni fa. Lo scorso febbraio, scaduto il visto turistico, aveva presentato domanda di permesso di soggiorno. La mamma ha trovato lavoro abbastanza facilmente come badante. Lei, invece, ambendo a qualcosa di meglio, alla ricerca di un impiego ha legato lo studio intensivo dell’italiano. I due scatti che la ritraggono su Fb, anche se fatti quando ancora era in Russia, fanno pensare potesse sognare un futuro come modella. L’anoressia, malattia di cui soffriva, è tipica di chi vive sfilando in passerella. Non ci sarebbe stato invece spazio per l’amore.

Ora è certo. L’unico nome al momento iscritto nel registro degli indagati della procura dal pubblico ministero Davide Ercolani con le accuse di morte come conseguenza di maltrattamenti e distruzione e dispersione di cadavere, è quello della mamma di Katerina.

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