La donna della valigia aveva il viso sfregiato

Rimini

RIMINI. Una vecchia cicatrice sotto l’occhio sinistro, come una “U” rovesciata all’altezza dello zigomo, è l’unico segno particolare che potrebbe aiutare a rivelare l’identità della “donna nella valigia”. Il dettaglio, rilevato dal professor Giuseppe Fortuni durante l’autopsia, è l’unica traccia in mano agli investigatori alle prese con un mistero dai contorni inediti.

La giovane senza nome, di circa trenta anni, dagli occhi a mandorla (si ipotizza si tratti di una orientale), non è stata assassinata, anche se potrebbe essere stata ridotta allo stremo da qualcuno che la teneva segregata. Alta uno e settantatré era letteralmente pelle e ossa: 35 chili di peso. Il referto del medico legale parla di «Cachessia terminale», l’esito di un gravissimo deperimento organico, punta estrema della malnutrizione. Qualcuno l’ha affamata fin a un punto di non ritorno?

Altri dettagli lasciano pensare che soffrisse di anoressia da tempo: aveva infatti avuto in passato dei problemi ai denti, tipico di soggetti con quel tipo di disturbo alimentare, ma era stata curata da un ottimo professionista e i suoi incisivi erano stati sostituiti da impianti di pregio e ben fatti (si presume costosi). Un’attenzione al proprio corpo che contrasta con il fatto che la ragazza non si depilasse da molto tempo. La peluria attorno ai capezzoli, risalente ad almeno due-tre anni, esclude che, almeno nell’ultimo periodo, abbia esercitato la prostituzione. Le condizioni fisiche in cui versava si accompagnano spesso a problemi di natura psichica, ma niente lascia pensare a gesti di autolesionismo o a segni di lotta. Non ha un graffio, né un ematoma, cicatrici da vaccinazioni, non ha segni di costrizione esterna come lacci o manette. Neppure “buchi” di punture o flebo, segni di un’eventuale ospedalizzazione necessaria nel suo stato. Se fosse stata segregata, doveva esserlo da tempo, al punto di non avere più la forza o la voglia di ribellarsi. Il pm Davide Ercolani ha disposto anche gli accertamenti tossicologici e e i tamponi vaginali. Dietro al deterioramento degli organi interni e dei muscoli, però, c’è solo la fame (non c’è traccia di pasti nello stomaco): la giovane donna infatti non soffriva di alcuna patologia e non era mai stata sottoposta a interventi chirurgici. Gli investigatori hanno allertato le strutture sanitarie per verificare gli accessi, ma finora l’esito è stato negativo. Se fosse orientale (statisticamente i cinesi in zona sono maggioritari, ma anche molte donne russe hanno tratti asiatici) e “clandestina” (le impronte non corrispondono a quelle presenti nella banca dati degli stranieri in regola) potrebbe essere arrivata in qualche modo in Italia per poi finire nelle mani di qualcuno.

Chi si è sbarazzato del corpo, però, ha sicuramente qualcosa di “grosso” da nascondere (il fascicolo aperto dal pm Ercolani parla di omicidio e maltrattamenti): la storia dei documenti riciclati dei cinesi, infatti, è solo una trita leggenda urbana, tanto più che da irregolare la donna non aveva neppure le carte in regola. Non lo ha occultato subito. Ha spogliato completamente e sistemato con cura il cadavere nella valigia (subito dopo il decesso o 72 ore dopo la perdita di rigidità), in un doppio sacco della spazzatura, e si è tenuto l’ingombrante bagaglio in casa (in uno scantinato? in un deposito?) per una decina di giorni. Poi, al massimo un paio di giorni prima del ritrovamento, ha gettato la valigia in acqua, forse neppure lontano dal luogo del ritrovamento, ma senza zavorrare il cadavere come avrebbe potuto anche con delle semplici pietre (nel trolley lo spazio c’era). La Squadra mobile ha acquisito le immagini degli ultimi giorni riprese delle telecamere che vanno dal porto alla stazione in cerca di indizi. Il mistero resta.

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