Permesso premio al killer

Rimini

RIMINI

Permesso premio ad Alberto Savi, uno dei killer della Uno bianca. L’ex poliziotto, che prestava servizio a Rimini ed è stato condannato all’ergastolo assieme agli altri due suoi fratelli, Fabio e Roberto, è uscito per dodici ore dopo 23 anni di galera trascorsi dietro le sbarre del carcere di Padova. Il provvedimento - voluto dal giudice di Sorveglianza nonostante il ricorso della Procura che si era detta contraria - ha scatenato un vespaio di polemiche, in particolare da parte dei familiari delle vittime, che hanno sentenziato: «Una vergogna».

Mezza giornata in comunità

La notizia è trapelata ieri ma già questo autunno il più giovane dei Savi era tornato alla ribalta perché aveva inviato una lettera all’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, in cui aveva chiesto di essere perdonato per quello che aveva fatto. In seguito, l’ergastolano, ormai 52enne, ha documentato il proprio percorso di carcerato modello e del proprio impegno lavorativo nel call center del Centro unico di prenotazione dell’istituto di pena padovano per conto dell’Azienda ospedaliera. Ecco quindi che è arrivata la decisione del tribunale di Sorveglianza: concesse le dodici ore di libertà che Savi ha trascorso in una comunità protetta.

La carneficina

Numerose le proteste che si sono susseguite. Proteste dettate anche dalla atrocità di quanto commesso dai fratelli Savi. Ventiquattro morti, centodue feriti, centotré azioni criminali. E’ stato questo l’incubo chiamato Uno bianca e finito la sera del 21 novembre 1994, quando Roberto Savi, assistente capo della polizia di Stato della questura di Bologna, è stato arrestato dai colleghi con l’accusa di essere la mente della banda che nei sette anni e mezzo precedenti ha insanguinato l’Emilia Romagna. Tre giorni dopo era finito in manette anche il fratello Fabio Savi, camionista, a 23 chilometri dal confine con l’Austria. Il terzo fratello, Alberto, era invece finito in carcere il 26 novembre.

La rabbia dei familiari

Se da una parte Ada Di Campi, ex poliziotta riminese ferita durante un conflitto a fuoco proprio contro i Savi, ha detto dei killer della Uno bianca «li perdono tutti per quello che hanno fatto». Dall’altra la presidente dell’associazione “Vittime Uno bianca”, Rosanna Zecchi, ha ribadito la propria contrarietà: «Non lo ritengo giusto. I nostri morti non li ottengono, i permessi premio. E per sette anni la banda dei Savi ha ucciso con crudeltà disumana. Hanno reciso giovani vite, hanno rovinato famiglie. Perciò, non avrei accordato nessun permesso». Stessa posizione per Anna Maria Stefanini, mamma di Otello, il carabiniere ucciso dai Savi: «Mi auguro che il giudice di sorveglianza abbia figli e capisca cosa hanno fatto queste persone alle famiglie che avevano dei figli: glieli hanno tolti. È uno schifo».

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