Il caso è chiuso: Pantani non venne ucciso

Rimini

RIMINI. La pista dell’omicidio? “Un’ipotesi fantasiosa”. Marco Pantani non fu ucciso, ma rimase “vittima, per sua mano, di quelle stesse sostanze in cui aveva cercato disperatamente sollievo”: il caso è chiuso. Il Gip del Tribunale di Rimini, Vinicio Cantarini, ha archiviato l'indagine-bis sulla morte del Pirata per infondatezza della notizia di reato. I nuovi accertamenti investigativi e scientifici hanno confermato e rafforzato l’esito della prima inchiesta: il campione morì per “l'assunzione, certamente volontaria e autonoma, di dosi massicce di cocaina e psicofarmaci antidepressivi”.

Quella dell’omicidio - scrive il Gip - è un’ipotesi fantasiosa, una mera congettura” senza il riscontro dei fatti. Dopo una doppia inchiesta e dodici anni di interrogativi si può ragionevolmente affermare che non esistono più misteri, né margini di dubbio sulla tragica e disperata fine di Pantani. “A questa solida e granitica conclusione si perviene - si legge nel decreto depositato in cancelleria nei giorni scorsi - attraverso la disamina e valutazione di una molteplicità di accertate circostanze, risultanze di tipo medico-scientifico e investigativo (informazioni testimoniali) che lette e valutate, con giudizio sereno e obiettivo scevro dalle comprensibili passioni e tensioni emotive degli opponenti (genitori di Marco) conducono e convergono ad una unica assoluta certezza”. Nella stanza del residence le Rose, quel tragico San Valentino del 2004, Marco Pantani era solo con i suoi fantasmi. Il suo cuore andò in frantumi nel giorno degli innamorati per medicinali, droghe, disperazione e solitudine. Il Gip, nelle 35 pagine del decreto si sofferma una a una sulle presunte incongruenze e dà risposta a ogni dubbio smontando il peso indiziario e il presunto significato probante degli aspetti marginali sollevati dalla famiglia.

A uccidere il campione fu una “grave insufficienza cardiaca acuta, effetto tossicologico combinato di Trimipramina, cocaina e venlafaxina” con un ruolo predominante da attribuire al primo psicofarmaco. Le modalità di assunzione e l’assenza di ecchimosi e di segni tipici di una colluttazione esclude ogni possibile costrizione. Il giudice, oltre che sull’isolamento di Pantani la mattina della morte, sottolinea come nei mesi precedenti la vita del campione fosse segnata da “un uso compulsivo sempre più crescente e ravvicinato nel tempo di cocaina. “Nel contesto dell’assunzione di droga Marco era solito isolarsi dal mondo, dagli amici e dai genitori, rifigiandosi – anzi barricandosi – in luoghi isolati (la villetta di Saturnia, stanze di hotel) in cui in piena solitudine poteva dare sfogo alle crisi depressive, alternate da fasi psicotiche.

Sulla base degli atti il Gip descrive Pantani come “una persona buona, sincera, ingenua ma introversa e debole sul piano affettivo-emotivo, segnato dalle vicende della vita sportiva che lo avevano costretto, quando era “il Campione” amato da tutti a scendere dalla bicicletta per iniziare un percorso di vita inesorabilmente segnato, da quel momento, da continue e profonde crisi depressive, da momenti di solitudine e volontario isolamento che cercò di sedare con la droga e gli antidepressivi”. Sul difficile percorso Marco, sostenuto in primis dai genitori, ha incontrato anche approfittatori (gli spacciatori che avevano in Marco una sicura fonte di guadagno): nessuno però voleva la sua morte (nelle testimonianze, decine e decine, non c’è neppure un cenno a minacce e/o violenze di qualsiasi genere subite da Marco). Non manca neppure uno dei tasselli, raccolti fin dal 2004, per ricostruire il mosaico. Fino “all’unica conclusione possibile, e cioè che Marco fu “vittima, per sua mano, di quelle stesse sostanze in cui aveva cercato disperatamente sollievo”.

“A fronte di tale quadro indiziario probatorio dunque - conclude il Gip - non v’è margine alcuno per una soluzione diversa, ossia per la “pista” investigativa prospettata dal difensore degli opponenti (avvocato Antonio De Rensis ndr) ed anzi tutti gli approfondimenti investigativi disposti anche in tale procedimento (inchiesta bis ndr) hanno rafforzato quella primaria conclusione, facendo scemare l’ipotesi dell’omicidio a mera congettura, fantasiosa, ipotesi cioè minimamente percorribile con una ricostruzione che sia plausibile e ragionevole sulla base delle risultanze investigative».

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