Aggressione alla compagna: avrebbe potuto ucciderla

Rimini

 

RIMINI. Finì in manette dopo una selvaggia aggressione alla compagna che voleva lasciarlo. Era il 10 dicembre 2013.A distanza di due mesi dai fatti la consulenza disposta nelle scorse settimane dal pm Davide Ercolani conferma che l'uomo, accusato di tentato omicidio, avrebbe potuto uccidere la donna sebbene lei alla fine se la sia cavata con una prognosi di sessanta giorni. L'indagato, un 48enne riminese operatore ecologico (ex guardia giurata). Difeso dall'avvocato Massimo Campana, si trova in carcere: è stata infatti respinta dal giudice la richiesta di attenuazione della misura cautelare attraverso la concessione dei domiciliari in una comunità. Secondo il medico legale Pier Paolo Balli le azioni messe in atto dall'uomo nel complesso e sovrapposte fra loro possono essere considerate inequivocabilmente come potenzialmente idonee a provocare la morte della compagna. Le lesioni riportate (fratture delle ossa nasali e di più costole, trauma craniofacciale, contusioni polmonari e ustione di primo grado alla gamba) risultano compatibile con il drammatico racconto della parte offesa anche se non sono emersi dall'esame “elementi morfologici per confermare né il tentativo di asfissia né l'utilizzo dell'arma bianca”. A scatenare la violenza del compagno, con la quale conviveva da un anno, era stata la decisione di trasferirsi, da sola senza di lui, nell’alloggio messo a disposizione dal comune. «Ero stufa dei continui litigi e delle sue richieste di soldi», raccontò. Era un addio, ma l’uomo non era disposto ad accettarlo. La sua reazione, però, era andata oltre ogni limite. Dalle parole era passato alle mani. «Mi ha spinto a terra e una volta sopra di me mi ha sbattuto la testa sul pavimento». Poi, dopo averla presa a calci, si era allontanato verso la cucina, tornando armato di coltello. «Sembrava un invasato: urlava ti ammazzo, ti ammazzo, è cercava di colpirmi». La donna evitò i fendenti e cercò di scappare, ma venne raggiunta e bloccata. A quel punto, per impedirle di chiedere aiuto, lui l'aveva imbavagliata con del nastro adesivo e aveva cercato di darle fuoco. «Ha afferrato il flacone dell’alcol e me l’ha spruzzato sulla gamba sinistra, poi ha avvicinato l’accendino: c’è stata una vampata, sono stata io stessa a spegnere la fiamma con il vestito». Infine, il presunto tentativo di soffocamento. Completamente fuori di sé il 48enne avrebbe cercato di attorcigliare attorno al collo della compagna il cavo dell’antenna.

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