Marchi va dai Casetti ai domiciliari: «Non era una mazzetta ma un prestito»

Rimini

RIMINI. Mario Chiesa, il manager socialista il cui arresto il 17 febbraio del 1992 ha scoperchiato il vaso di Pandora che ha dato il via alla rivoluzione chiamata “Mani pulite”, messo davanti all’evidenza dal pool di magistrati guidati da Francesco Saverio Borrelli, ammise che quella che aveva intascato era una mazzetta da 7 milioni di lire, l’equivalente degli attuali 3.500 euro circa.

Quel passaggio di soldi non era stato immortalato dalle riprese video. Immagini, invece, che venerdì scorso sono state, secondo l’accusa, la prova provata della concussione messa in atto da Tiziano Marchi, alto funzionario della sede cesenate dell’Agenzia delle Entrate ai danni di un imprenditore di Cesena.

Immagini e parole registrate che però sarebbero state mal “interpretate”, a suo dire, in rapida successione dal commercialista riminese scelto come intermediario dell’operazione, dai carabinieri del Nucleo investigativo guidati dal capitano Maurizio Petrarca, dal pubblico ministero di turno Davide Ercolani e dal giudice che ha autorizzato le intercettazioni telefoniche prima e l’ambientale con telecamere nascoste nello studio del professionista riminese poi. Questo è quanto ha sostenuto ieri mattina davanti al giudice Fiorella Casadei l’ex consigliere provinciale e fino al 2009 assessore socialista del Comune di Forlì.

Marchi, che ha affidato la propria difesa agli avvocati Massimiliano Pompignoli (presente all’interrogatorio) e Massimiliano Starni entrambi del Foro di Forlì, ha infatti sostenuto che la busta bianca ricevuta e messa in tasca subito dopo aver fatto un rapido controllo del contenuto, era il prestito per far fronte a improvvise esigenze personali chiesto a quel commercialista conosciuto quattro anni fa in occasione della verifica fiscale cui aveva sottoposto l’imprenditore metallurgico cesenate, oggi titolare di due società, all’epoca alla guida di una srl che per sanare la sua situazione con il Fisco, che gli aveva contestato irregolarità per 450 mila euro, aveva concordato una sanzione da 190 mila euro coperta con un mutuo che sta ancora pagando. Il professionista, ha messo a verbale Marchi, gli avrebbe risposto di non avere i 10 mila euro di cui aveva bisogno e che per questo, a sua volta, li avrebbe domandati all’imprenditore.

Il funzionario dell’Agenzia delle Entrate ha pure sostenuto di essersi detto disponibile a rilasciare una sorta di ricevuta, fattura di cui però nelle immagini dello scambio non c’è traccia. Il giudice ha concesso a Marchi gli arresti domiciliari.

Questa mattina, nel frattempo, gli investigatori dell’Arma dovrebbero entrare nell’ufficio di Marchi sottoposto a sequestro subito dopo l’arresto. Bisogna infatti verificare non si tratti di un altro vaso di Pandora.

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