L'accusa: «Per Dritan carcere a vita»

Rimini

RIMINI. «Lidia dopo avermi disonorato con mio cugino, si era presentata pentita alla mia porta. Era armata e mi chiedeva di ucciderla perchè mi aveva disonorato con mio cugino nel letto dei miei genitori. Ma io non le ho dato ascolto. In casa c’erano i bambini ed ero innamorato di lei». Dritan Demiraj, racconta la sua verità ai giurati della corte d’Assise di Rimini che lo devono giudicare per il duplice omicidio di Silvio Mannina e della sua ex compagna Lidia Nusdorfi, con una deposizione spontanea una manciata di minuti dopo il termine della requisitoria con cui il pubblico ministero Stefano Celli ha chiesto per lui il carcere a vita, due anni di isolamento diurno e la perdita della patria potestà.

Ergastolo chiesto anche per lo zio, il pescatore Sadik Dine mentre per la sua ultima compagna, la riccionese Monica Sanchi, l’accusa ha chiesto 30 anni di carcere: 22 per aver attivamente partecipato all’omicidio di Silvio Mannina la sera del 28 febbraio 2014 e otto per aver partecipato il giorno seguente alla spedizione a Mozzate dove nel sottopasso della stazione ferroviaria il pasticcere albanese ha sgozzato l’ex fidanzata.

Nel chiedere scusa per quanto fatto alla famiglia Mannina («lui ha pagato per le azioni di lei e per il mio orgoglio») Dritan ha “giurato e spergiurato” di non aver premeditato niente di quanto accaduto. Di aver fatto fuori Silvio Mannina, ultimo fidanzato della sua ex - che l’accusa ha inconfutabilmente dimostrato essere arrivato a Rimini ingannato dall’offerta di una notte di sesso sfrenato ricevuta da Monica Sanchi - perchè ancora follemente innamorato di Lidia. «Sono andato completamente fuori di testa, quando ho visto sul cellulare di Silvio il video in cui facevano l’amore». Un raptus talmente forte «che da quel momento in poi non ricordo più niente di cosa è successo». Il giorno prima, però, accompagnato da Monica, era andato ad acquistare un paio di manette. Quindi, stando all’atto d’accusa dell’ultima fiamma che si è definita a sua volta vittima per come sarebbe stata manipolata dal suo uomo, con l’aiuto dello zio nella cui casa si doveva consumare l’incontro amoroso e di un minorenne albanese figlio di un trafficante di droga con cui Dritan faceva affari, si è accanito su Mannina. Silvio, fatto spogliare dalla Sanchi - hanno ricostruito le indagini dei carabinieri - si ritrovò con lei sdraiata addosso, mentre il pasticcere gli bloccava i polsi dietro la schiena e con l’aiuto del ragazzino: per 10 minuti lo ha strangolato usando il cavo della Tv. Lo zio, invece, si è “limitato” a immobilizzare le caviglie della vittima. Esecuzione di cui la Sanchi ha sempre detto di essere stata solo “semplice” testimone. Così come nel viaggio e nella sepoltura dello sventurato nel fango del laghetto Azzurro. Tutti questi eventi, secondo Dritan, sono stati solo frutto di un raptus. Esattamente come quello che lo ha colto poco meno di 24 ore dopo alla stazione di Mozzate. Anche qui, ha detto ai giurati, «ho perso la testa quando Lidia mi ha detto che di me non le importava più nulla e le interessava solo Silvio». Peccato che le telecamere del circuito di sorveglianza del sottopasso della stazione lariana raccontino un’altra storia sulle 11 coltellate costate la vita all’ex fidanzata.

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