Marina la scuola ma finisce tra i "bulli"

Rimini

RIMINI. Era contento di sentirsi parte del gruppo e, dopo aver marinato anche lui le lezioni, aveva seguito i tre spavaldi compagni di scuola nell’abitazione di uno di loro, libera fino al pomeriggio per l’assenza dei genitori, impegnati al lavoro. Una volta nell’appartamento, però, il ragazzino (un sedicenne della provincia di Rimini) si è sentito in trappola. Gli altri lo avrebbero sbeffeggiato e poi, dopo averlo rinchiuso in una stanza, lo avrebbero strattonato, colpito, e minacciato. Altro che mattinata davanti alla playstation. I “bulli” da lui volevano i soldi. Mica spiccioli: «Dacci centocinquanta euro», gli ha detto a brutto muso uno degli “amici”. Stando alla sua versione, il più arrabbiato avrebbe addirittura estratto un coltellino. Più che provare paura si è sentito perso: tutti e tre contro di lui, senza una ragione. Ha messo le mani in tasca e le ha svuotate: «Ecco venti euro, non ho altro». Non è stato sufficiente per rabbonirli. Ragazzi che presi da soli non farebbero male a una formica, storditi dalla logica del branco hanno autoalimentato il gusto sottile della sopraffazione fino a studiare una “punizione” alternativa per la vittima designata. «Ce li darai a rate – è stato il verdetto della loro veloce consultazione – ma intanto adesso pulisci tutta la casa».

Costretto a spolverare, lucidare e riordinare, dietro la sollecitazione degli sghignazzi altrui. L’umiliazione deve essere stata davvero grossa perché, una volta a casa, il sedicenne è un libro aperto. «Che cosa ti è successo?». Per una volta racconta tutto, si confida con i genitori e il padre decide di fare sul serio. Va dai carabinieri e denuncia l’episodio di bullismo nei confronti del figlio. Una “ragazzata”? I militari di una stazione dell’Arma del Riminese (la località viene omessa per non rendere anche indirettamente riconoscibile il minore coinvolto), giustamente, non la vedono così. E dal racconto dell’adolescente ipotizzano i reati di estorsione e violenza privata (se ne occuperà eventualmente il Tribunale dei minorenni). Per avere un riscontro chiedono la sua collaborazione per trarre in inganno gli aggressori attraverso uno scambio di messaggini via telefono. I carabinieri suggeriscono le parole da utilizzare. «Smettetela di darmi fastidio o mi rivolgo ai carabinieri». Una sommaria conferma indiretta dei fatti, compresa la richiesta di denaro, arriva dalle repliche dei compagni. Quanto basta per segnalare l’episodio alle autorità competenti, anche se non ci si stancherà mai di ripetere che non potrà mai essere un giudice, sebbene specializzato, a colmare il vuoto culturale che alimenta il ripetersi di episodi di vessazioni fisiche e morali tra minori.

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