Latitante in Libia si converte all'Islam

Rimini

RIMINI. Giulio Lolli, l’ex patron di Rimini Yacht, ricercato in Italia e latitante in Libia, come quei gatti capaci di atterrare sulle proprie zampe anche dopo la più rovinosa delle cadute, non solo ha attraversato indenne la sanguinosa rivoluzione anti Gheddafi, ma non si lascia spaventare dall’avanzata dell’Isis, né dall’instabilità politica del Paese, venti di guerra compresi. Intanto, dopo aver messo a frutto le benemerenze ottenute per il contributo alla causa dei ribelli (c’è una sua foto con il mitra in mano e la bandana), ha avviato un’altra attività nel settore della nautica: fa l’istruttore di guida di barche da diporto. La novità è che, nel frattempo, si è convertito all’Islam. Nessuno, oltre lui, può sapere se l’aver abbracciato la fede di Maometto sia una scelta dettata dall’opportunismo oppure una convinzione maturata nel travaglio spirituale degli ultimi anni. Chi lo conosce bene, con ogni probabilità, si è già fatto un’idea. Di certo c’è che perfino nei documenti ufficiali firma con il nuovo nome arabo: Karim. Sarà un caso, ma significa “Generoso”. Lolli, dopo la rocambolesca fuga via mare di cinque anni fa, ha conosciuto le catene delle prigioni di Gheddafi, per poi riciclarsi laggiù dopo il sanguinoso ribaltone, facendo dapprima l’arredatore e poi occupandosi della compravendita di barche. L’intenzione di espandere l’impresa c’era, almeno stando alle indagini della procura di Rimini e dei carabinieri, ma è stata stroncata sul nascere. Il presunto “socio” occulto (riminese) di Lolli è stato infatti denunciato a piede libero non appena ha tentato di stringere contatti con i funzionari del governo libico (anche se si dovrebbe parlare di “governi” perché ne esiste più d’uno e ciascuno rivendica la propria legittimità). L’ex patron di Rimini Yacht, dichiarato da tempo latitante e con un mandato di cattura internazionale sulla testa, non ha nessuna intenzione di lasciare la Libia: ha giurato pubblicamente che non “finirà mai più in carcere”. Era stato arrestato con la collaborazione della polizia di Gheddafi in un blitz internazionale nel gennaio 2011, ma alla vigilia dell’estradizione il dittatore ha fatto la brutta fine che tutti ricordiamo. L’aver partecipato alla rivolta in carcere e l’essersi unito ai ribelli lo ha reso “intoccabile”, almeno a Tripoli. Il pm riminese Davide Ercolani, da lontano, continua a perseguire con determinazione la prospettiva della cattura, un po’ come Ginko con Diabolik. Dovrà per adesso accontentarsi di processarlo in contumacia. Prima udienza, l’1 ottobre prossimo.

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