Due bar in mano alla 'ndrangheta

Rimini

RIMINI. Il colpo di coda della maxi inchiesta “Aemilia” sulla presenza della ’ndrangheta in regione “regala” una sorpresa: c’è di mezzo anche la Romagna. Spunta anche un prestanome eccellente: un noto imprenditore riminese nel settore enologico, indagato a piede libero per il reato di trasferimento fraudolento di beni in concorso. Non se ne meravigliano guardia di finanza di Rimini e carabinieri di Riccione che avevano messo per primi nel mirino una coppia di fratelli considerati vicini alla cosca calabrese “Grande Aracri”. Proprio dagli sviluppi di quella “vecchia” intuizione (nata da un giro di assegni falsi e dalle conseguenti verifiche fiscali) si è arrivati al sequestro delle quote di società operanti nel settore della ristorazione. Proprio a Riccione, il nucleo di polizia tributaria delle fiamme gialle e i carabinieri della locale Compagnia, avevano scoperto e segnalato alla Direzione distrettuale antimafia di Bologna che la ’ndrangheta aveva messo le mani su due noti bar-pasticcerie. Attività che all’epoca dei fatti contestati, e cioè fino agli inizi del 2013, erano gestite da altrettante società riconducibili a Michele Bolognino. L’uomo è uno dei personaggi di spicco della cellula ’ndranghetista con base a Reggio Emilia che è stata stroncata a inizio anno dall’inchiesta della Dda dell’Emilia-Romagna (pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi). Ieri, per le due società operanti nel campo della ristorazione, sono scattati i sequestri preventivi, e contemporaneamente in Emilia sono state sequestrate società di capitali, immobili, auto e rapporti bancari e finanziari. Sempre in Emilia ci sono stati anche tre arresti: sia questi che i sequestri sono misure cautelari che la Procura bolognese aveva chiesto da tempo, ancor prima della richiesta di rinvio a giudizio (coinvolte 219 persone), ma che il gip ha firmato solo ora. Ieri sono stati eseguiti i provvedimenti da carabinieri e guardia di finanza. Gli arresti riguardano tre persone già indagate: Michele Bolognino, già in carcere, e i fratelli Palmo e Giuseppe Vertinelli; il primo, considerato dagli inquirenti il “banchiere” del gruppo, era stato arrestato dopo una breve latitanza ma poi scarcerato su decisione del Tribunale del Riesame. Le accuse, a vario titolo, sono associazione di tipo mafioso, fittizia intestazione di beni, impiego di denaro e proventi illeciti, riciclaggio ed altri reati aggravati dalla finalità mafiosa.

In provincia di Rimini, il sequestro preventivo è scattato per le società Cu.gi.ra. sas e Magu srl, che gestivano rinomati esercizi adibiti a bar-pasticceria in zona mare e in zona Paese a Riccione. Secondo una nota della Guardia di finanza entrambe le attività (che nel frattempo hanno cambiato gestione, una ha modificato anche il nome, e restano ovviamente aperte perché gli attuali titolari non sono coinvolti) erano riconducibili ai fratelli Michele e Francesco Bolognino. A scoprirlo sono state, a partire da una segnalazione dei carabinieri di Riccione, le Fiamme gialle riminesi che dopo la prima tornata di 117 arresti dell’inchiesta “Aemilia”, hanno rimesso mano a precedenti attività investigative condotte dal Nucleo di polizia tributaria di Rimini sui fratelli Bolognino e altri soggetti per intestazione fittizia di beni.

La Gdf ha eseguito specifiche analisi e mirati accertamenti economico-patrimoniali-reddituali, grazie anche alla recente riorganizzazione informatica del proprio archivio elettronico. E’ emerso che i rappresentanti legali e i soci erano meri prestanome compiacenti, mentre dietro c’erano i Bolognino. Sono stati inoltre individuati patrimoni illeciti e una sproporzione tra questi e i redditi dichiarati ufficialmente. Crea scalpore tra i presunti prestanome, quello di un noto imprenditore riminese.

Le società sequestrate nel Riminese, spiega la Finanza, saranno gestite da un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale che ne determinerà anche il valore di mercato. C’è anche un’altra coincidenza che potrebbe portare gli investigatori ad altri approfondimenti. L’uomo finito in manette qualche settimane fa ad opera della polizia perché custodiva in garage un micidiale arsenale lavorava come pasticciere proprio per uno dei locali gestiti in passato dalle società “infiltrate”. Per il momento però si escludono collegamenti: l’uomo non risulta aver lavorato nell’attività quando era gestita dai personaggi indagati.

In Emilia, invece, gli ultimi sequestri eseguiti oggi dai carabinieri riguardano beni per un valore complessivo di 35 milioni di euro: i sigilli sono scattati per 16 società di capitali, nove beni immobili, 16 autoveicoli e 21 tra rapporti bancari e finanziari. L’operazione è stata eseguita nelle province di Reggio Emilia e Parma, e in parte anche ad Aosta, Bologna e Crotone. «I sequestri confermano che la cellula ’ndranghetista si era insinuata nella gestione e controllo di attività imprenditoriali, formalmente intestate a prestanome», scrivono i carabinieri emiliani, permettendo «l’accumulo illecito di significativi patrimoni personali».

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