Anche i riminesi finiscono sotto i ponti

Rimini

 

RIMINI. Non un soldo, non un parente, non un amico e, finite tutte le idee e le possibilità, si finisce a vivere per strada. Poco importa se, con mamma e papà, ci sono anche due bimbi piccoli.

Stanno in stazione, nelle aree dismesse, negli alberghi abbandonati, nei cantieri delle case in costruzione. I meno “fortunati”, anche sotto i ponti. E se non c'è il suolo asciutto, che ci sia almeno un tetto sulla testa a riparare dalla pioggia e dal vento. E' così che oltre cento indigenti vivono, o meglio sopravvivono, a Rimini: tra questi, famiglie anche italiane. Come quella “sorpresa” dai ragazzi della Papa Giovanni XIII a dormire per strada pochi mesi fa: cinque quelle italiane soccorse in tutto il 2013. Col freddo in arrivo, i volontari scendono in strada e offrono un riparo a chi non l'ha.

Sos-freddo. Col progetto “Emergenza freddo”, voluto dal Comune, ai letti già a disposizione alla Capanna di Betlemme e alla Caritas, si aggiungono infatti altri 20 posti allestiti in una struttura alle spalle di piazza Cavour (di proprietà di un'associazione cattolica francese che usò il palazzo per ospitare le donne in difficoltà nel secondo dopoguerra, riabilitandole al lavoro). Lì finiscono immigrati, italiani rimasti senza lavoro, ma anche famiglie. La struttura rimane aperta per quattro mesi, fino a marzo e in questi giorni è destinata a fare il tutto esaurito. «Sono tante le immagini difficili da sostenere e alle quali ormai ci siamo abituati, ma in generale a colpirci di più è ancora il senso di impotenza che a volte proviamo in tante situazioni di degrado alle quali non si riesce a trovare una soluzione adeguata», racconta Cristian Gianfreda responsabile della Capanna di Betlemme.

I volontari a “caccia” di senzatetto. I “ragazzi” della Capanna di Betlemme, la casa di accoglienza per chi non ha un riparo, escono due volte a settimana assieme alla Croce rossa. Cominciano dai ponti, e poi passano al setaccio le aree abbandonate e quelle dove si sa che i clochard vanno a ripararsi dal freddo. «Portiamo con noi coperte, qualcosa di caldo da bere – racconta Gianfreda – e ci fermiamo a parlare con loro. Sentiamo come stanno, che storie hanno e, nei casi più difficili, cerchiamo di convincerli a venire via con noi». Ma nei periodi più difficili dell'anno nemmeno questo basta. E così ogni sera passano dalla stazione e lì, qualcuno da portarsi a “casa”, lo si trova sempre. «Anche lì portiamo coperte e ogni sera ne accompagniamo via qualcuno», aggiunge il responsabile della Capanna. Una cosa è certa: un posto libero, alla casa di accoglienza, non rimane mai. Da un po' di tempo, è ormai sempre tutto esaurito, specie d'inverno.

I numeri. Alla Capanna di Betlemme i letti a disposizione sono 25, ai quali si aggiungono altri 15 letti per le accoglienze a lungo termine. Altrettanti ce ne sono alla Caritas: 20 posti per gli uomini, 20 per donne. E, con la struttura per l'“emergenza freddo”, si aggiungono altri 20 posti. Insomma, in tutto, Rimini riesce ad offrire almeno un centinaio di giacigli, almeno di inverno. E, più o meno, le emergenze sono così fatte salve. Ma la crisi complica ogni cosa, e aumenta le sacche di povertà.

Non solo immigrati. «Non ci sono più solo stranieri per strada – racconta Gianfreda – ma anche tanti italiani. Il 50% delle persone alle quali offriamo un posto dove dormire ormai viene dalle nostre parti». Per strada, sono costrette a “riparare” anche intere famiglie: mamme sole coi bimbi al seguito in fuga da un genitore violento, o intere giovani famiglie straniere coi piccini di pochi anni. A fine 2013, i volontari della Capanna di Betlemme hanno incrociato almeno tre intere famiglie che avevano fatto di strutture abbandonate e ponti il proprio rifugio: una di queste era italiana.

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