«La mia seconda vita sul web: un incubo tra sesso virtuale e lacrime»

Rimini

RIMINI. Controllare il cellulare a ogni sospiro, affidando a Facebook ogni pensiero e ogni azione. E vedere a ogni nuovo contatto un aiuto alla propria autostima. E poi l’amore: bandito quello vero, conta solo quello virtuale. Sesso compreso. «Così ho messo da parte la mia vita e me ne sono costruita una sul web. Un avatar: stavo davanti al pc anche tutta la notte. E quando mi hanno chiesto di spegnere il cellulare, ho avuto una crisi di nervi». «Avevo una vita, ma solo virtuale». Lucia ha 30 anni. Ha sofferto di anoressia e bulimia. Dopo aver chiesto aiuto al centro “Mondosole” di Rimini, è riuscita lentamente a uscire dal tunnel delle dipendenze, ma quella dal web non è stato facile sconfiggerla.

«Prima ancora degli attuali social – racconta – ho iniziato con altri tipi di chat: vivevo internet come il mio unico interlocutore col mondo esterno. Da casa non uscivo più e con ognuna delle persone incontrate sul web mostravo una Lucia diversa. Mi inventavo dei personaggi e li facevo diventare reali nei miei racconti e attraverso le mie foto». Nel pieno della patologia legata al cibo, per Lucia internet è diventato in breve tempo l’unico rifugio: lì immaginava mondi paralleli. «Ricordo bene i momenti più cupi della malattia. In casa indossavo la “divisa” da anoressica: tuta, ciabatte, capelli sporchi. E in chat mi fingevo bellissima e sicurissima di me: passavo il tempo a cercare nuovi contatti e di loro puntualmente mi innamoravo. Qualcuno, raramente, ebbi anche il coraggio di incontrarlo e il più delle volte ho trovato persone problematiche quanto me». Poi, l’ingresso nel centro, la cura e i social che cambiano. «Ora Facebook e altri si installano direttamente sul cellulare – aggiunge Lucia -: ricordo bene quando mi fu chiesto per la prima volta di spegnerlo nel corso di un incontro di gruppo, nel pieno della terapia. Mi innervosii, scoppiai in lacrime e dissi: piuttosto lascio tutto». E sui social, ancora, un’altra vita e il bisogno spasmodico di raccontare tutto a tutti e di sentirsi costantemente “on line”: «Ogni post che vedevo pubblicato pensavo fosse rivolto a me: sentivo il bisogno di non perdermene nemmeno uno – aggiunge Lucia -. Ogni “mi piace” mi scaldava più di un abbraccio, a ogni contatto in più mi sentivo amata. E poi il costante aggiornamento del mio stato: cosa facevo appena alzata, cosa facevo dieci minuti più tardi, e poi giù foto e foto delle mie poche serate con gli amici, “costruite” ad arte e ingigantite solo per mostrarmi contenta e dalla vita super appagante». «Lui è “on line” e non mi scrive». Per non parlare delle chat sul telefono. «La aprivo, scorgevo l’altro “on line” e mi torturavo chiedendomi il perché non stesse scrivendo a me – racconta in un crescendo di emozione -. A ogni nuovo amico uomo corrispondeva un nuovo innamoramento e le storie nascevano e si consumavano nel giro di pochi giorni, poche ore. Fino a giurarsi amore virtuale senza mai esserci visti, fino al sesso descritto nei messaggini e nemmeno mai pronunciato a voce. Su Facebook ci potevo stare fino alle 6 del mattino, tutta la notte, senza nemmeno rendermene conto».

 

«Senza i “mi piace” mi sentivo una fallita». Da Mondosole è passata anche Giulia P., 26 anni e per diverso tempo social-dipendente. Per molto tempo l’uso distorto che faceva di Facebook, scrive nella sua testimonianza lasciata a disposizione degli altri ragazzi in cura al centro, «ha anestetizzato le mie giornate che scorrevano tra una “home” e l’altra; dovevo sapere tutto di tutti. Volevo stupire, volevo approvazione e se non avevo consensi con “mi piace” ai miei link mi sentivo una fallita. Attraverso la rete tutto è più facile: le emozioni sono filtrate da uno schermo o suggerite da un emoticon, non trasmesse, non sentite e comunicate realmente».

 

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