Una scomoda omonimia: si chiama come l'infermiera

Rimini

RAVENNA. Il nome sbagliato, nel posto sbagliato. E in una domenica come le altre Daniela è cambiata: da allora deve mostrare il sorriso di circostanza alle battutine sbagliate («ma mai cattive, per carità»), e le è toccato combattere contro le curiosità più morbose. Fino a far fronte anche alle telefonate più raggelanti: «Devo morire e sto male, mi aiuta con una di quelle punturine?».

Lei è Daniela Poggiali, è una dirigente pubblica di un ente del Ravennate, e ha lo stesso nome dell’infermiera di Lugo da due mesi in carcere con l’accusa di aver ucciso una paziente di 78 anni con un’iniezione di potassio, ma sulla quale la Procura sta indagando in ordine a decine di altri casi sospetti: 38 solo nel 2014, oltre una novantina in tutto. «Dopo la telefonata del malato terminale, rimasi sconvolta e feci subito oscurare il mio numero di telefono dal mio curriculum visibile on line», racconta la professionista di qualche anno più matura della detenuta, sua omonima. A lei, infatti, i curiosi, i morbosi, ma anche giornalisti e disperati, sono arrivati semplicemente digitando il suo nome sui motori di ricerca on line, chiedendone il cellulare. Fino a metà ottobre, infatti, il suo curriculum, pubblicato sul web per ragioni di trasparenza, riportava anche il numero di telefono. «Lo ricordo come fosse ora: era domenica, ero a pranzo con mio marito - racconta Daniela che ora è serena e sorridente -. Non avevo letto i giornali della mattina, e quindi non conoscevo il nome dell’infermiera arrestata. Prima mi arrivano due telefonate: sono due persone che si qualificano come giornalisti. Dico solo che non sono la persona che cercano e la cosa finisce lì». Lei rimane di sasso, ma il peggio viene dopo. «Dopodiché, è stato un fiume di telefonate. Mi chiama una persona da un numero sconosciuto: dice di essere un malato terminale e di parlare per conto di un gruppetto di persone nella sua stessa situazione. Mi chiedeva un appuntamento per parlare della sua situazione e voleva aiuto. Volevano una di quelle iniezioni...». Lei risponde subito che non è la Daniela Poggiali che credono. Che è un architetto e di non chiamarla più. «Invece il telefono continua a squillare e io smetto di rispondere», ricorda Daniela. Ma dall’altra parte del filo, la disperazione di chi la sta cercando è più forte dell’appello della donna. «E allora, un’altra volta ho risposto. Gli ho detto che l’avrei denunciato e che il numero a cui stavano chiamando era una linea istituzionale. Ma le telefonate sono continuate: la vicenda mi ha profondamente inquietato».

Dal giorno dopo fu tutto diverso: «Ho chiamato gli uffici del mio ente e ho chiesto subito di oscurare il mio numero di cellulare dal curriculum. Per fortuna non ho più ricevuto telefonate», sorride Daniela. «Ma devo comunque fare i conti con... diciamo battutine o riferimenti vari», non si scompone la dirigente. Gli scherzi non sono mai macabri e «mai cattivi», ci tiene a precisare lei, ma l’omonimia pesa comunque.

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