«Prima o poi me la pagherete»

Rimini

RAVENNA. «Voi lo avete licenziato, e io prima o poi ve la farò pagare».

Era il 2007. Il compagno di Daniela Poggiali aveva da poco perso il posto di lavoro in una nota impresa del Lughese e lei, l’infermiera oggi accusata di omicidio, quel giorno si presentò in direzione chiedendo di parlare con il “capo”.

Sei anni dopo quell’uomo, il “capo”, è ricoverato all’ospedale di Lugo e in quell’ospedale purtroppo morirà. Nulla di strano se non fosse che quel ricovero è proprio nel reparto di Medicina generale e quando la notizia dell’inchiesta sulle flebo al potassio compare sulle prime pagine dei quotidiani locali, un familiare dell’imprenditore trasecola. Prova a fare mente locale, ne parla in famiglia, poi corre dai carabinieri. Non ha un nome e non ha ancora un volto, ma ha solo dei sospetti. Solo in un secondo momento viene a sapere che l’indagata è proprio lei; quella ragazza bionda dai modi irruenti e diretti che quella mattina era entrata nell’azienda di famiglia chiedendo spiegazioni. Ma quei dubbi angoscianti su quanto successo nella stanza di quell’ospedale in quei giorni rimarranno tali per sempre. Sospetti e niente più che, però, alla luce di tutto questo, pesano come macigni.

E sono proprie storie come queste - finite nel fascicolo dell’inchiesta, ora a disposizione delle parti - che danno l’idea dell’impatto di questa indagine sull’opinione pubblica locale. Almeno una decina sono le famiglie che in questi mesi si sono rivolte agli inquirenti dichiarando di aver “incrociato” la Poggiali durante dei ricoveri purtroppo finiti male.

Alcune volte, però, la suggestione ha giocato un brutto scherzo. Gli accertamenti successivi, ad esempio, hanno rivelato come in circa cinque casi i denuncianti riferivano di episodi “sospetti” avvenuti in reparti dell’ospedale di Lugo dove la Poggiali non aveva mai preso servizio in tutta la sua carriera.

I casi presi in esame dagli inquirenti sono stati in tutto 38, ovvero solo quelli relativi a decessi avvenuti all’ospedale di Lugo dall’inizio del 2014 quando l’infermiera era al lavoro. Di questi sei sono quelli sui quali la procura continua a nutrire forti dubbi e sono ovviamente alcuni di quelli più vicini cronologicamente alla data dell’8 aprile scorso, giorno in cui morì Rosa Calderoni, a causa di due fiale da 20ml di potassio iniettate (secondo i periti) direttamente nel deflussore della flebo.

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