Troppi silenzi tra colleghi. L'inchiesta si allarga in corsia

Rimini

 

RAVENNA. L’infermiera è in carcere con l’accusa di omicidio volontario, ma l’inchiesta della Procura di Ravenna prosegue senza sosta, allarga i suoi orizzonti e questa volta a tremare è l’Ausl. I carabinieri del Reparto Operativo - coordinati dal procuratore capo Alessandro Mancini e dal suo sostituto Angela Scorza - stanno cercando di capire come sia stato possibile che per mesi, se non anni, in quella parte dell’ospedale di Lugo si fosse instaurata un’atmosfera del tutto particolare, dove si intrecciavano piccole omertà e eccessivi formalismi. Una situazione che di fatto favorì episodi che ora lasciano sbigottiti. Il reato che si potrebbe arrivare a ipotizzare è quello di favoreggiamento morale. Se davvero in corsia tutti sapevano, dove e perché si interrompeva quella trasmissione di notizie? Queste le domande alle quali gli inquirenti cercheranno di dare una risposta.

Ma per capire il tutto bisogna forse fare un passo indietro e tornare all’aprile scorso, quando l’indagine sul potassio killer deflagra e i carabinieri impegnati nel ricostruire il profilo e i movimenti della Poggiali si imbattono in scenari impensabili che portano, due mesi dopo, all’obbligo di firma per l’infermiera accusata di furti in corsia e anche di peculato. Reato, quest’ultimo, dovuto al fatto che vittime di quegli ammanchi non furono solo pazienti e badanti, ma anche la stessa Ausl. L’infermiera, ora in carcere a Forlì, avrebbe infatti portato a casa anche pasti, lenzuola e in un caso persino medicinali, nello specifico antibiotici dal valore di 300 euro.

Accuse che emergono interrogando non solo pazienti, familiari di degenti e badanti, ma anche altre infermiere e medici.

Addirittura si scoprì che alcune colleghe della Poggiali fecero persino una riunione informale tra di loro per capire come affrontare il problema. Nel caso specifico la frequente sparizione di pasti in corsia. Il risultato - stando a un verbale di interrogatorio depositato lo scorso 18 aprile - è però deprimente: la responsabile invitò le infermiere più in confidenza con la Poggiali ad affrontare con lei la questione in maniera amichevole.

E’ quindi stato accertato che anche i superiori sapevano di quegli episodi a dir poco sospetti, eppure non vennero fatti passi formali.

Ma per avere un’idea di quale fosse il clima in reparto basta ricordare che quando l’infermiera venne vista portare via dall’ospedale antibiotici, ci fu un medico che cercò di fermarla, ma la Poggiali rispose in malo modo: «Anche i miei parenti pagano le tasse». E anche in quel caso, nonostante l’infermiera fosse stata colta praticamente in flagranza da due colleghe e da un medico, non ci fu nessun tipo di conseguenza: né penale, né disciplinare.

Tutti episodi che, se non ci fosse stata l’inchiesta per omicidio, non sarebbero mai emersi.

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