Porto, espropri anche per Cmc e Sapir

Rimini

 

RAVENNA. Fondali da scavare «qualsiasi cosa succeda», e sviluppo da pensare. Entro l’estate partiranno le operazioni di esproprio per far spazio allo sviluppo del porto e l’autorità portuale, dice il presidente Galliano Di Marco, «non farà sconti a nessuno». Comprese Sapir e Cmc: ci sono anche loro nella lista di 14 ditte e 29 persone da espropriare (per 224 ettari in tutto: operazione da 40 milioni di euro) per far largo alle quattro zone di logistica del porto. E i fondali? In attesa del progettone, si comincia già oggi con l’arrivo della draga che porterà in mezzo al mare, a circa 12 miglia dalla costa, i materiali che saranno scavati all’ingresso del porto (circa 150mila metri cubi di materiale). Lì, nel mezzo del blu, assicurano le analisi di Arpa e di un’altra ditta ingaggiata con una gara pubblica, la qualità di acque e terreni è meno buona rispetto a quella riscontrata nella zona di scavo. Tanto vale, dice Di Marco, portare tutto in mare. Ora saranno due gli scavi urgenti da garantire in tempi brevi, per un totale di 600mila metri cubi di materiale. E, sugli espropri, «cercheremo gli accordi bonari, sennò esproprieremo con decreto del governo: fatevene una ragione».

«Situazione drammatica». Non sono mancati i momenti di tensione, ieri pomeriggio, nella sala consiliare di Palazzo Merlato dove il numero uno dell’autorità portuale, chiamato dalle commissioni ambiente e infrastrutture, di fronte ai residenti nelle aree che verranno espropriate, ha descritto lo stato dell’arte del porto. Acque basse un po’ ovunque. Tanto basse che la Capitaneria di Porto a inizio anno ha limitato l’ingresso delle grosse navi a seconda della marea e appena pochi giorni fa ha lanciato un nuovo - e più minaccioso - allarme.

Gli scavi urgenti. Per questo, ha ribadito Di Marco, i fondali vanno scavati. Non si può più rimandare. E se per il progettone i tempi sono ancora lunghi, il presidente ha pronto il piano B, quello d’emergenza ribattezzato “Martin Luther King”: navi draghe che porteranno i fanghi scavati all’ingresso del porto fino in mare aperto, e poi altre due zone individuate per raccogliere i materiali che saranno dragati nella zona industria: 240mila metri cubi a Trattaroli, e altri 200mila circa nella zona della “Evoluzione”, società del gruppo Alma Petroli. Solo contentini rispetto al progettone.

Gli espropri. Per questo, Di Marco va avanti e torna a parlare degli espropri. Si tratta di 224 ettari, cui circa 70 a ridosso delle Bassette e il resto tra Porto Fuori e il Candiano. Aree dove far sviluppare l’hub portuale e risolvere una volta per tutte il problema dei fanghi. Da qui, il secondo piano, quello dedicato allo sviluppo: il piano “Roosvelt”. No al «pippone ravennate», dice Di Marco, quello fatto delle proteste dei comitati e dei mille ostacoli della burocrazia. «Dovete capire - arringava il presidente ieri in Aula - che un’opera pubblica è un’opera di pubblica utilità. Se c’è una delibera del Cipe (il comitato interministeriale per la programmazione economica che, al progettone, ha già dato la propria approvazione e garantito 60 milioni di euro, ndr), io rappresento il governo: sto sopra al sindaco e alla Regione. Fatevene una ragione: io sono qui per fare il progetto e lo voglio fare. Gli accordi sugli espropri? Non avremo paura di negoziare, ma non negozieremo per paura». Ma sull’area Sarom, mette le mani avanti: prima Eni faccia la bonifica senza manleva, poi vediamo. Eppure, anche a fronte della lista degli espropriati, dove spiccano anche Sapir e Cmc (la prima per 38 ettari, la seconda un quarto delle aree), la tensione non si placa.

La tensione. «Mi avete rovinato la vita: mi volete sbattere in mezzo ai fanghi», tuona un residente prima di essere zittito dai presidenti delle commissioni. E Francesca Santarella (Cinquestelle) esce dall’Aula arrabbiata quando Di Marco fa l’elenco delle opposizioni che gli sono state mosse per fermare l’utilizzo di alcune aree: «Non sfotta», tuona lei quando il presidente cita i “paleodossi”, le «coppette sul terreno che non hanno alcun valore storico», senza freni lui. Ma alla fine la rassicura: «Non toccheremo i paleodossi, né i laghetti nella zona della Cmc e non si farà il bitumificio. Vogliamo fare industria senza far male all’ambiente». In definitiva, sono quattro le macro aree che, una volta terminati gli espropri, saranno destinate alla logistica del porto, a cui si deve aggiungere un impianto di trattamento dei sedimenti.

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