Don Desio ci riprova e torna a chiedere i domiciliari

Rimini

RAVENNA. Finora aveva sempre scelto la via del silenzio limitandosi a far sapere al suo legale, l’avvocato Battista Cavassi, che sul suo conto «non c’era altro da scoprire». Frase pronunciata nel clou dell’indagine che aveva portato al suo arresto, il 5 aprile scorso. Ma ora don Giovanni Desio è uscito allo scoperto. Non con una confessione, ma con una ammissione che, pur prestandosi a diverse letture, rappresenta comunque in qualche modo un’assunzione di responsabilità. Il parroco di Casalborsetti, accusato di atti sessuali con minori, ha infatti messo nero su bianco di aver tenuto «una condotta inappropriata».

Una dichiarazione contenuta in una lettera allegata all’istanza inviata al Tribunale del Riesame con cui don Desio ha rinnovato la richiesta per la concessione dei domiciliari nella stessa struttura umbra gestita da personale religioso indicata in occasione della prima domanda.

A metà mese, dopo una ricerca prolungata, il suo difensore era riuscito ad individuare una clinica disposta ad accoglierlo, un luogo che era stato ritenuto idoneo dal legale che lo assiste sotto diversi aspetti, primo tra tutti la distanza da Ravenna e dai ragazzi che è accusato di aver molestato.

Di diverso avviso è invece stato il giudice per le indagini preliminari Rossella Materia. Il magistrato, lo stesso che aveva firmato il provvedimento restrittivo, ha infatti giudicato la struttura inadeguata in quanto non garantirebbe l’isolamento dai mezzi di comunicazione.

Il sacerdote lombardo è al momento detenuto nel carcere di Forlì, dove si trova rinchiuso da quasi tre mesi nell’ambito dell’indagine condotta dalla Squadra mobile che ha portato a galla relazioni inopportune con alcuni ragazzini che frequentavano la canonica. Un’inchiesta partita dopo l’incidente stradale che lo aveva visto protagonista quando, a febbraio, era finito in stato di ebbrezza col suv nel porto canale ed era stato salvato da alcuni compaesani. Un fatto di cronaca che divise il paese e i giudizi. Alcuni dei quali non erano andati a genio al parroco. Per questo il prete, all’epoca ancora direttore del settimanale della Diocesi, sfruttò i social network per difendere la sua immagine e attaccare chi lo criticava. Lo fece utilizzando i profili Facebook di alcuni adolescenti a cui aveva chiesto le password. Furono proprio alcuni di quei post, notati da un genitore, a far partire le indagini e a far emergere relazioni che travalicavano i limiti dei rapporti tra i fedeli e il proprio confessore.

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