Maltrattato dalla moglie a Faenza, i suoceri: «Abbiamo vissuto anni nella paura»

FAENZA. Il giorno della festa della donna è tornata in aula da imputata. E al posto delle mimose come simbolo di una forza femminile e di parità di genere, ha ricevuto accuse, o meglio, le ha riascoltate. Quelle che la vedono imputata per avere maltrattato verbalmente e psicologicamente per quasi sette anni il marito, mandandolo più volte all’ospedale e arrivando anche ad aggredirlo con un coltello. È ricomparsa di fronte al giudice Antonella Guidomei una 41enne originaria del Riminese ma residente a Faenza. La donna - difesa dal legale Lucia Varliero del foro di Rimini - ha ascoltato la deposizione dei suoceri, chiamati a testimoniare dalla difesa dell’ex marito, uno psicologo costituitosi parte civile con l’avvocato Silvana Santandrea.

«Mi sposo per la villa e l’auto»

È stato il padre della vittima a parlare per primo, ripercorrendo le fasi travagliate del rapporto tra i coniugi, peggiorato «già dopo i primi due/tre mesi di matrimonio». Il motivo era emerso già durante una prima discussione in famiglia: «Dissi che in una famiglia è difficile andare avanti se lavora solo uno - ha raccontato -, lei si alzò e rispose, testuali: “Mi sono sposata per avere una villa con giardino, la pelliccia e la Mercedes, non per lavorare”». All’inizio erano solo lamentele, «a Faenza non c’è nulla, voleva una casa più adeguata, un’auto migliore e più presenza da parte di mio figlio». I genitori erano intervenuti con aiuti economici, «50mila euro per la casa, 30mila per un fondo, 20mila di un’eredità». Evidentemente non abbastanza per raggiungere il tenore di vita sperato. Nel frattempo, già dal 2010 la situazione era peggiorata.

«Una morte lenta»

Provato nel ricordare «anni in cui io, mia moglie e mio figlio abbiamo vissuto nella paura», il suocero ha riferito gli insulti e le minacce ascoltate. «Lo ammazzo, lo affetto, lo faccio morire di morte lenta, lo faccio a pezzettini». Parole sentite di persona, ma anche riferite dal figlio una volta superato il timore di raccontare le vessazioni subite: «Una volta lo vidi con un bozzo in testa, un’altra con un graffio sulla guancia, un’altra ancora con una mano insanguinata. Ogni volta che chiedevo che cosa avesse fatto non rispondeva».

Poi, nel dicembre 2017 era accaduto l’episodio più grave delle tre aggressioni contestate nel fascicolo aperto dal sostituto procuratore Angela Scorza, che ieri non ha esitato a chiedere al giudice di richiamare l’imputata per evitare che commentasse con la mimica facciale le risposte dei testi. Quella notte i genitori ricevettero una telefonata dal figlio, cacciato di casa dopo essere stato minacciato con una lama. «Mentre lo accompagnavo all’ospedale, con la mano insanguinata e il giubbotto tagliato si è sfogato e ha raccontato di tutte le altre volte», ha aggiunto il genitore.

La sottomissione psicologica, per il marito, è finita solo il 4 luglio scorso quando la polizia di Stato ha notificato alla donna l’ordinanza di allontanamento dalla casa coniugale e il divieto di avvicinamento, affidando i bambini al padre. Si tornerà in aula a metà mese, quando saranno invece i genitori dell’imputata a dare la loro versione dei fatti.

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