«Usava il profilo di mio figlio anche per insultare i giornalisti»

Rimini

RAVENNA. «Se vuole glielo dico io come è cominciata questa storia: sono stato io il primo ad andare dalla polizia e se adesso don Desio è in questura invece di essere “altrove” è solo perché ho avuto la certezza dagli investigatori che mio figlio non è tra quelli che sono stati toccati». E’ una testimonianza che fa venire i brividi quella di un padre che si sfoga raccontando di come ha scoperto gli strani rapporti tra il figlio e il suo parroco.

«Tutto è cominciato poco dopo l’incidente di febbraio - ricorda -. Una persona mi fece sapere che mio figlio, che ha solo 15 anni, aveva scritto alcuni post “strani” sulla bacheca del don. E lo aveva fatto in orari in cui, in teoria, sarebbe dovuto essere a scuola».

E lei che fece?

«All’inizio gli chiesi solo se usasse il cellulare durante le lezioni. Lui negò e disse che i professori non lo permettevano. A quel punto, però, gli feci notare che i messaggi erano stati scritti alle 8,30 e verso mezzogiorno. E che quindi mentiva».

E lui?

«Provò a cambiare discorso, poi quando capì che non me la bevevo mi disse che don Desio gli aveva chiesto la sua password di Facebook e che entrava nel suo profilo. Poi mi disse anche che non lo faceva solo con lui, ma anche con altri amici che avevano acconsentito a dare le loro credenziali di accesso».

Quanti?

«Non so, credo altri due o tre»

E per quale motivo usava il loro profilo?

«Francamente non riesco a immaginare per quali scopi o come utilizzasse la loro identità sui social network. Ma mio figlio mi ha detto che nei giorni in cui era scoppiata la polemica sui giornali per l’incidente nel canale in stato di ebbrezza si era ritrovato dei commenti che non aveva mai scritto».

Tipo?

«Cose del genere: “Don Desio non mollare!”, “Siamo con te, ti vorremo sempre bene. Torna presto”. Ma anche commenti più pesanti che mi hanno allarmato».

Per esempio?

«Anche contro voi giornalisti. Avevo letto un post con scritto: “giornalisti siete dei vermi”. Io gli ho detto di stare attento perché erano parole offensive e anche voi avreste potuto querelare. A quel punto si è lasciato andare e anche lui mi ha detto che in realtà quei post non li aveva scritti».

E lei cosa ha fatto?

«Sono andato dalla polizia postale a fare denuncia. Mi hanno spiegato che il reato contestabile era quello di furto d’identità, ma che forse sarebbe stato meglio andare all’ufficio minori della Mobile e raccontare tutto. Ed è quello che ho fatto».

 

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