A Ravenna la pialassa si sta “insabbiando”. Le cause sono ancora un mistero

Ravenna

RAVENNA. In quello stesso punto, nella zona naturalistica, pochi mesi fa si arrivava in barca. Ora basta indossare gli stivali e affondando fino al ginocchio nella melma, si raggiungono a piedi le secche, le cosiddette barene, che prima erano isolate dall’acqua salmastra ed erano postazioni ideali per pescare.

La zona è quella della pialassa Piomboni e l’area è quella a ridosso della via omonima, nell’affascinante cornice che, a chi si addentra nella zona acquitrinosa che sta alle spalle dell’idrovora di Marina di Ravenna, offre la visione di un “topos ravennate”; con i capanni da pesca, una vegetazione peculiare e le luci industriali che sono in lontananza ma abbastanza vicine da rispecchiarsi sull’acqua.

Già, l’acqua. Che progressivamente sta cedendo il suo dominio. Lo scriveva il Corriere Romagna nel settembre scorso, descrivendo quella zona che si sviluppa nell’area prospiciente alla nuova cassa di colmata approntata ai confini dell’area portuale e visibile anche da via Trieste, con i grandi argini sabbiosi che si stagliano nei campi confinanti con via dell’Idrovora.

Ma in questi giorni nuove segnalazioni di cittadini e capannisti evidenziano una situazione in peggioramento, con nuove porzioni di area prima ricoperta di acqua salmastra che ora sono semplice sabbia bagnata. La zona è interessata da un progetto avviato sei anni fa, che ha fra i propri step anche quello di completare l’argine di separazione dall’area naturalistica con la creazione di una barriera lunga ben 2,5 chilometri. Una maxi commessa di risanamento da 32 milioni di euro, che vede come cardine principale il dragaggio del canale. I lavori avevano una data di chiusura annunciata per la primavera prossima, dopo ritardi di natura tecnica su cui l’Autorità portuale non aveva escluso, nel raffronto con la cordata di imprese incaricate, una fase di approfondimento sulle cause del posticipo. Al netto, ovviamente, dallo stop imposto nel 2014 dalla revisione dei valori ministeriali sulla concentrazione degli idrocarburi nei terreni recuperati attraverso i dragaggi. Interventi che, indiscutibilmente, hanno variato gli equilibri ambientali del contesto. Rimane da stabilire se l’ampliamento delle zone riarse rappresenti una condizione transitoria o se, con l’idrografia ridisegnata dai lavori, questa sia una condizione irreversibile. Raggiunto telefonicamente in serata, il presidente di Ap, Daniele Rossi, annuncia un sopralluogo tecnico: «La segnalazione la raccogliamo in questo momento, va comunque ricordato che il progetto comprende anche un piano di rinaturalizzazione che va, mano a mano, attuato».

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