Commercio, quale sviluppo vogliamo?

Rimini

A Ravenna aprirà un nuovo centro commerciale in zona Pala De André. A Lugo costruiranno un nuovo centro commerciale al posto dell’Ex Venturi, mentre a Forlì sono appena partiti i lavori per un discount tedesco e il consiglio comunale dovrà esprimersi presto su un nuovo progetto analogo che dovrebbe prendere forma nei prossimi mesi. Ma davvero ne abbiamo bisogno? O meglio: davvero è quello il modello di sviluppo commerciale di cui questa terra ha bisogno?

Sia chiaro: non è giusto criminalizzare niente e nessuno e chi scrive non ha nulla contro i centri commerciali e soprattutto su chi accetta i rischi del mercato per continuare a investire nonostante i tempi incerti. Ma anche la politica, così come l’imprenditoria, dovrebbe capire che ci sono momenti in cui bisogna investire con scelte amministrative coraggiose e contro corrente.

E questo, ad esempio, sarebbe il momento di investire sulla tutela dei piccoli commercianti, perché dovremmo capire che, quando si parla di commercio - in realtà come Ravenna o Lugo o Forlì - non si parla mai solo di commercio. Si parla di tante altre cose: si parla di lavoro, inteso come posti, come diritti e come contributi pagati, si parla di argine al degrado, si parla della tenuta sociale dei nostri quartieri, di cui i commercianti erano guardiani del decoro e della sicurezza. Si parla, insomma, di un patrimonio non solo economico. Nel 2018 pensare che il destino del piccolo commercio sia legato solo alla grande distribuzione probabilmente è falso.

Lo rivelano i recenti dati della Confesercenti regionale che vedono in calo gli acquisti anche nei grandi centri commerciali, anche loro vittime dei negozi virtuali. Grandi catene che, dandoci l’illusione di risparmiare 9 euro su un paio di scarpe, ci fanno credere di essere furbi.

In realtà stiamo impoverendo la nostra economia per far crescere un capitalismo globalizzato che paga le tasse altrove ma toglie diritti a noi, a cominciare dai lavoratori.

Ma senza spostarci troppo lontano proviamo a guardare alle nostre vie dello shopping. Via Cavour, via Diaz e altre. Al posto di negozi storici sorgono ormai grandi catene internazionali: Tiger, Zara e altre. Le stesse che ormai riempiono i centri commerciali.

Che tipo di commercio è? Un commercio che genera (con rispetto parlando) commessi, ma non commercianti. Stiamo sostituendo, poco a poco, una categoria con una classe di lavoratori sfruttata.

E’ un settore economico che in questa città non ha radici e che in questa città, a differenza del passato, non investirà più il suo benessere. I ricavi di Zara non finiranno nelle nostre banche locali, ma al Santander o alla Deutsche Bank. E se scompare la categoria dei commercianti svaniranno anche i risparmi da investire nel nostro territorio. Senza contare il valore sociale dei “vecchi” negozi, fatto di donne e uomini che curavano le “loro” strade come fossero le loro case. Il risultato sarà una spersonalizzazione del centro e non solo del centro.

All’idea che i centri commerciali fossero “non luoghi” ci siamo ormai abituati. Ma l’idea che piazza del popolo diventi un non luogo mette paura. E anche molta tristezza.

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