Ravenna, falsificate le volontà delle zie per ottenere l’eredità, nei guai un 73enne
Le ultime volontà
Una vicenda intricata quella giunta ieri a discussione davanti al giudice monocratico Tommaso Paone. Al punto che dopo l’arringa conclusiva il giudice ha concesso tempo per le repliche, ritirandosi con un faldone ricco di perizie grafologiche depositate durante il dibattimento. La lente degli esperti nominati dal tribunale e dei consulenti tecnici di parte si è posata sul primo testamento, scritto dalla più anziana delle due sorelle, nata nel 1915. Il lascito redatto nel 1995 devolveva metà della casa, in cui l’anziana viveva con la sorella, a una nipote, costituitasi ora parte civile con l’avvocato Giuseppe Lenzini.
Anche la sorella minore, più giovane di dieci anni, aveva messo nero su bianco le ultime volontà: aveva scelto prima la stessa nipote, poi, una decina di giorni dopo, aveva cambiato completamente idea in favore dell’imputato. Se le cose fossero rimaste invariate, ognuno dei cugini avrebbe avuto la sua parte di eredità.
Testamento inaspettato
Nel 1999 però, accade l’inaspettato. La zia più anziana, ancora in vita, aggiorna il documento nominando la nipote come erede universale. Ma cinque giorni dopo, spunta un nuovo testamento, nel quale l’anziana sceglie invece come sola beneficiaria la sorella minore, che aveva a suo tempo indicato come erede universale il nipote 73enne. L’uomo, alla morte della seconda zia, si è ritrovato unico destinatario dell’eredità, composta dall’intera casa e da tutti i possedimenti delle due parenti defunte.
Il comprensibile disappunto della cugina non ha fatto che acuire una tensione che aveva già portato all’apertura di un contenzioso in sede civile (dove il giudice in primo grado ha ritenuto valido il primo testamento, seppur constatando che la mano della zia più anziana era stata “guidata”). E l’esposto, partito alla comparsa dell’ultimo testamento, ha innescato l’indagine culminata con il rinvio a giudizio del cugino.
Il falso in busta anonima
Durante il processo gli esami delle grafie avevano evidenziato che l’ultimo testamento - quello a vantaggio dell’imputato - era falso. Il manoscritto era stato consegnato in busta chiusa a un notaio da un mittente anonimo. Elemento non sufficiente secondo i legali dell’imputato - difeso dagli avvocati Antonio e Biagio Madonna - per inguaiare il 73enne e tacciarlo come autore del falso. Di pare contrario invece il vice procuratore onorario Marianna Piccoli, chi ha chiesto la condanna a un anno e quattro mesi.