Tre indagati per l'incidente mortale alla diga di San Bartolo

Forlì

RAVENNA. Ci sono tre indagati per la tragedia di San Bartolo. A cinque giorni dal disastro e dalla morte del tecnico 52enne della Protezione civile Danilo Zavatta, la Procura di Ravenna ha iscritto i primi tre nomi nel registro delle notizie di reato, si tratta di tre esponenti della Gipco di Forlì, ossia il suo legale rappresentante, il direttore dei lavori della centrale idroelettrica e un tecnico. L’indagine, aperta sin dal giorno dopo il cedimento dell’impianto, inizia quindi passo dopo passo a concretizzarsi. I reati contestati sono al momento quello di disastro e di omicidio colposo in cooperazione.

Dal 14 agosto, quando si parla di ponti crollati in Italia, è impossibile non fare riferimento al dramma del viadotto di Genova. E quello che è successo sul fiume Ronco, in fondo, non è altro che un “piccolo” caso Genova. Sia perché sotto quelle macerie purtroppo c’è anche una vittima, sia per la complessità delle indagini affidate ai Carabinieri forestali e coordinate dal procuratore Alessandro Mancini e dal sostituto Lucrezia Ciriello. Ma andiamo con ordine.

Le cause del crollo

Il primo e più importante nodo da sciogliere sarà quello delle cause tecniche del crollo. Ieri pomeriggio la Procura ha conferito l’incarico a due esperti: gli ingegneri Paolo Mignosa e Andrea Segalini. Lo scopo del loro incarico è ben definito: indagare sulla dinamica e conseguentemente sul motivo di quel cedimento improvviso. Oltre chiaramente a tutte le altre informazione che riusciranno a trovare tra quell’ammasso di fango, cemento e acciaio. Mediante l’utilizzo di riprese sia fotografiche che video andranno a caccia delle prove, che serviranno poi a creare l’ossatura degli eventuali profili di responsabilità. Al momento è ancora presto per lanciare accuse, ma è ormai noto che attorno a quell’impianto vi fossero state molte polemiche. Alcune addirittura confluite in una denuncia fatta dal Consorzio di bonifica poco più di un mese fa, che paventava pericoli per via del “sifonamento”. Tra i tecnici si vocifera che, sotto il cemento della centrale, il pozzo di aggottamento fosse stato chiuso con della semplice argilla, che a inizio settembre era saltato via. E giovedì doveva essere il giorno del collaudo finale e della definitiva messa in sicurezza, e invece si è trasformato in giorno di paura e di morte.

Il fattore tempo

Vista la natura del disastro e soprattutto la posizione, in questo caso il fattore tempo è quanto mai essenziale. Primo perché le condizioni climatiche avverse di questi giorni potrebbero creare qualche problema ai consulenti e secondo perché il repentino dissequestro dell’area diventa ogni giorno più importante. C’è infatti una strada, la Ravegnana, notoriamente già pericolosa di suo, da dover mettere in sicurezza. L’acqua del fiume che filtra da sotto l’impianto potrebbe infatti aver danneggiato l’argine su cui si erge la strada.

Le autorizzazioni

Ma una volta chiarite le ragioni del crollo del ponte la seconda fase dell’inchiesta sarà presumibilmente quella di andare a scandagliare tutto l’iter autorizzativo che ha portato alla costruzione di quella centrale.

Era davvero tutto a norma? I progetti presentati andavano bene? Gli Enti che danno queste tipologie dei autorizzazioni hanno ovviamente anche un dovere di responsabilità. Per questo è possibile ipotizzare che la lista degli indagati non potrà che allungarsi nelle prossime settimane.

L’ultimo tassello, infine, riguarderà invece la morte del 52enne Zavatta, su cui sono stati chiesti accertamenti da parte della Medicina del lavoro. La domanda in questo caso è chiara: perché Danilo si trovava su quel ponte, nonostante fosse stato transennato e tutti gli dicessero di scendere vista la pericolosità?

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