Omicidio a Ravenna, l'arrestato tradito dal luminol: nel bidone c’era una maglia insanguinata

Cervia

RAVENNA. Basso di statura, un po’ piazzato. Tranquillo e abitudinario nelle sue routine quotidiane fatte di frequentazioni dei bar fra Castiglione di Ravenna e Castiglione di Cervia. Tutti nelle due frazioni sulle sponde del Savio conoscevano “Mad” o “Med”, almeno di vista.

Diciannove anni compiuti il 18 aprile, in Italia ormai da tempo e stabilitosi da almeno cinque in un appartamento su due piani a Castiglione di Ravenna con la madre e il compagno di quest’ultima, Madalin Constantin Palade era attualmente disoccupato e incensurato. Tralasciando qualche problema con la giustizia quando ancora era minorenne, il ragazzo aveva lavorato per un periodo limitato in un macello della zona e per un imbianchino. Poi più nulla.

La piazza dello spaccio

Eppure di introiti economici ne aveva, probabilmente grazie alla piazza dello spaccio nella quale - emerge dall’ordinanza di convalida del fermo - si era ricavato il proprio giro. Ed è in questa attività che aveva stretto rapporti sempre più frequenti con la vittima. “Mad” aveva conosciuto Rocco Desiante circa sei mesi fa. Da due mesi invece era diventato il suo personale “canale di spaccio”, una fonte di approvvigionamento di cocaina che aveva giustificato i frequenti incontri al bar, per poi passare anche nell’abitazione del pizzaiolo 43enne, a Castiglione di Cervia. Quello stesso bilocale che, da ritrovo per festini a base di droga, si è trasformato in teatro dell’orrore nella notte tra il 3 e il 4 ottobre.

I vicini sotto choc

Mad, era «un tipo tranquillo», «non un attaccabrighe», «un bravo ragazzo che salutava sempre», continuano a ripetere vicini di casa e conoscenti, sconvolti dalla notizia del fermo. I timori riguardo un suo coinvolgimento erano saliti fin da cinque giorni dopo la scoperta del cadavere, quando i Ris di Parma avevano messo i sigilli nella sua abitazione, e lui era stato sentito dai carabinieri del Nucleo investigativo per ore ed ore. Poi era tornato libero alla vita di sempre.

Le tracce di sangue in casa

Al bar si lamentava di non poter rientrare in casa, ancora sotto sequestro. Proprio da quell’abitazione sono emerse prove che saranno ora oggetto di ulteriori analisi: come le macchie di sangue rilevate su una coperta di pile rinvenuta su un mobile in una camera al primo piano. Un’altra è emersa dal lavandino. Poi una canottiera bagnata ricoperta di tracce ematiche è stata trovata all’interno del bidone dell’immondizia della cucina. Infine altro sangue in tre diversi punti, su un muro esterno a sinistra della porta d’ingresso dell’appartamento, su uno stipite e sul pavimento.

La chiamata ai vigili del fuoco

Mentre le prove del luminol passavano al setaccio la casa, con tutti i famigliari ospitati da giorni da alcuni amici, lui se ne stava sereno in paese. Tranquillo in apparenza. La stessa freddezza con la quale la notte del 6 ottobre, prima del rinvenimento del cadavere, si è recato con altri amici davanti alla porta di casa della vittima, per poi chiamare i vigili del fuoco segnalando che era chiusa con le chiavi all’interno. Non aveva atteso l’arrivo dei soccorsi, se n’era andato con i compagni a una festa a Forlì.

«Uno sguardo di ghiaccio, non lasciava trapelare alcuna inquietudine», commenta chi lo ha visto fino a poche ore dall’esecuzione del provvedimento precautelare. Una decisione, questa, avvalorata dalla valutazione del gip, che ha evidenziato «la piaga esistenziale intrapresa e la ripetizione di occasioni a dir poco “equivoche”» che hanno «fagocitato le sue scelte di vita» fornendogli «gli strumenti per conseguire uno spessore criminale ancora maggiore». Una valutazione che ha dato al “tranquillo Mad“ un profilo di ben altro calibro.

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