Assessora e assistenti sociali braccate, 46enne a processo a Ravenna

Ravenna

RAVENNA. Pur di ottenere un ulteriore sostegno economico da parte del Comune era arrivato a presentarsi tutti i giorni allo sportello dei servizi sociali di via Aquileia, rimanendo appostato l’intera giornata tra corridoi e uffici. Una presenza che aveva reso impossibile il lavoro delle assistenti sociali, e che, qualche settimana più tardi, non aveva risparmiato nemmeno l’assessora ai Servizi sociali, Valentina Morigi, pedinata fin sotto il comune e insultata per strada. Proprio l’amministratrice è comparsa ieri assieme ad altre sei operatrici della Gestione associata, fra i testi del processo a carico di un 46enne di origini calabresi da tempo residente in città, accusato di violenza e minaccia a pubblico ufficiale e di interruzione di pubblico servizio.

L’assessora braccata

Due gli episodi più gravi, avvenuti dopo circa un mese di appostamenti negli uffici dei servizi sociali. Vedendo che le insistenze non sortivano alcun risultato, il 46enne aveva deciso di braccare l’assessora. Era accaduto il 14 febbraio del 2017: «Quella mattina si presentò davanti al mio ufficio in via D’Azeglio senza appuntamento - ha riferito Morigi -, stavo andando in Giunta, mi disse “vengo con te”. Mentre attraversavamo piazza Kennedy iniziò a urlare “l’assessore Morigi è un incompetente”. Accelerai il passo e quando entrai in giunta esclamò “ti aspetto qui, tanto devi uscire”». Non era la prima volta che l’uomo avvicinava l’assessora. «Frequentava il consiglio comunale, una volta mi ripetette “tu non capisci un c...”». Poi il 30 maggio, all’uscita da una riunione «fui costretta a rifugiarmi nell’auto che avevo parcheggiato in viale Farini, mentre le colleghe di Faenza e Cervia cercavano di fermarlo».

L’arresto

Anche dopo il divieto di avvicinamento a meno di 500 metri emesso dal tribunale, l’uomo si era presentato altre tre volte in ufficio. Per questo era scattato l’arresto, eseguito dai carabinieri di via Alberoni. Alla luce di queste deposizioni la vice procuratrice onoraria Katia Ravaioli ha chiesto l’integrazione del capo d’imputazione, aggiungendo l’accusa di oltraggio a pubblico ufficiale. Ora l’imputato, difeso dall’avvocatessa Federica Melandri, si trova ai domiciliari.

In aula le assistenti sociali

Sul banco dei testimoni sono comparse anche le assistenti sociali. In particolare l’operatrice che aveva in carico la pratica del 46enne e la responsabile della sede. Dal 10 gennaio l’uomo aveva iniziato a presentarsi quotidianamente. Chiedeva contributi economici, un sussidio mensile e buoni spesa per motivi di indigenza totale, nonostante fosse stato già esonerato dall’alloggio Acer. Richieste fatte «in maniera aggressiva», presentandosi con cartelli con scritto “siete tutti mafiosi”, origliando e montando polemiche fra gli altri utenti. Insomma, hanno riferito all’unisono, quel modo di protestare «controllava il nostro lavoro e lo aveva reso impossibile». A febbraio l’imputato avrà modo di dare la sua versione, poi la sentenza.

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