I soldati Maori hanno lasciato il segno, i discendenti nei luoghi di battaglia a Faenza e dintorni

Faenza

FAENZA. Il fiume Senio, silente memoria della seconda guerra mondiale, sulle cui sponde morirono centinaia di soldati, è costellato ancora oggi di commoventi episodi che si riallacciano a quanto avvenne oltre 70 anni fa. Il corso d’acqua è meta ogni anno di visite di parenti di ex combattenti che qui caddero, rimasero feriti o ebbero salva la vita nonostante i cruenti scontri.

Neozelandesi in visita

In tale contesto è fissata per il 7 ottobre la visita di un gruppo di 25 neozelandesi, guidato da sir Wira Gardiner, ex comandante di plotone e rispettato leader tra i Maori odierni: faranno tappa alla ore 10 al cimitero di guerra di Faenza, poi saranno a Forlì, a Cotignola e nei principali campi di battaglia lungo il Senio in cui il battaglione Maori combatteva e moriva. Al gruppo si aggiungeranno anche Tony Gladstone e la moglie Nicky: lui è figlio di una fantina che aiutò, sposò e seguì un soldato neozelandese, conosciuto al fronte. Tony ha tanti amici, e anche parenti a Faenza: seppure ora risiede a Londra è un punto di riferimento nei contatti tra la comunità locale e quella Maori. Qualche mese fa è stato Gladstone ad informare i faentini della morte sull’isola di Chatham in Nuova Zelanda, all'età di 90 anni Bunty Preece, l'ultimo sopravvissuto del 28° Battaglione Maori, prima unità alleata ad entrare in Faenza per liberarla.

Storie da raccontare

Nello scorso mese di luglio era invece in città Kare Murrey, nozelandese, nipote del soldato Walker Rangy, arruolato pure lui nel 28° Battaglione Maori, morto combattendo sotto il secolare platano, vicino ad una casa distrutta davanti al ristorante La Palazza, sulla via Lughese a qualche centinaia di metri dal fiume Senio. «Murrey aveva una missione da compiere – afferma lo storico Massimo Valli che lo ha accompagnato : voleva rendere omaggio alla tomba dello zio al cimitero di Forlì e visitare il luogo dove fu colpito a morte». La scena di quest’ultimo momento è stata colma di ritualità: «davvero commovente – racconta Valli -. Il nipote del caduto si è presentato con una corona di alloro in testa e avvicinandosi al grande platano sopravvissuto alla furia della guerra ha intonato un canto da fare venire i brividi, prima sussurrato poi sempre più forte fino a giungere al tronco, che ha abbracciato, restando in quella posizione alcuni minuti. Ha poi deposto una corona e sempre con le lacrime agli occhi ha chiesto di vedere il fiume Senio, nelle cui acque si è bagnato il viso e i polsi, pronunciando parole in un idioma incomprensibile. Lungo la carraia ho trovato alcuni reperti: due pezzetti di granata e una scheggia che gli ho consegnato. Lui mi ha abbracciato, baciandomi naso contro naso alla maniera dei Maori». Sono episodi molto significativi del sentimento che ancora oggi provano i discendenti dei cmbattenti che liberarono Faenza.

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