Muore dopo una tonsillite a Faenza. Otorino a processo, parlano i periti

Faenza

FAENZA. Era andata dal medico lamentando mal di gola e rossore alle tonsille. Diciannove giorni dopo è morta all’ospedale di Faenza. Sono questi i presupposti del decesso - avvenuto il 10 maggio 2012 - di una donna faentina di 74 anni, che ha portato a processo un otorino, accusato di omicidio colposo. Una morte in seguito a una tromboflebite alla vena giugulare, che l’autopsia aveva attribuito a un processo infettivo riscontrato negli organi toracici e inserita in un quadro complesso partito - così ha riferito ieri in aula il perito autoptico - da un presunto ascesso alle tonsille.

Dalla visita al decesso

I sintomi manifestati dalla donna erano in apparenza banali. Una tonsillite con tanto di mal di gola. Il 21 aprile era andata dal proprio medico di base, il quale le aveva prescritto un antibiotico. Non notando nessun miglioramento, la donna aveva fatto una visita specialistica, nell’ambulatorio dell’otorino. Quest’ultimo, dopo aver fatto un’operazione di “spremitura” dell’ascesso, aveva prescritto nell’immediatezza una terapia farmacologica all’anziana. Il giorno successivo all’intervento la donna era tornata dal medico di base il quale, dopo un consulto con l’otorino, aveva ritenuto opportuno sospendere la cura antibiotica temendo possibili reazioni allergiche, per riprendere la cura iniziale.

Nei giorni successivi, però, la donna era peggiorata manifestando i chiari sintomi di un’infezione in atto.

Il 29 aprile era stata ricoverata in ospedale, nel reparto di terapia intensiva, dove i medici avevano subito iniziato a fare una serie di analisi approfondite, riprendendo un più massiccio dosaggio di medicinali. Nonostante le cure, undici giorni dopo, la donna era morta.

Le perizie

Una volta appurata la causa del decesso, ieri il dibattimento davanti al giudice monocratico Cecilia Calandra ha cercato di fare luce sulle cause che portarono al peggioramento. Tema che ha infiammato il faccia a faccia tra i due periti nominati dal pubblico ministero Daniele Barberini e i consulenti tecnici, uno contattato dalla difesa del medico, l’avvocato Leonardo Panzano, l’altro chiamato dai legali dei familiari dell’anziana defunta, costituitisi parte civile, gli avvocati Stefano Bernardi ed Elena Bianconcini.

Il dottor Sergio Sabbatani, scelto dai familiari, ha parlato di «dosaggio cosmetico» nel sostenere che la paziente sia stata sottovalutata, trattata in un ambiente non congruo e poi mandata a casa con una somministrazione di farmaci inferiore del 50 per cento rispetto a quanto sarebbe stato necessario. Sarebbero invece andati diversamente i fatti secondo la linea difensiva, avvalorata dalla consulenza del dottor Pasquale Laudadio, che ha invece insistito sul corretto operato dell’imputato, addossando semmai al medico di base della signora la responsabilità del cambio di antibiotico dopo l’operazione alla gola.

La “malattia dimenticata”

Una volta giunta in ospedale, la malattia era ormai degenerata. «La tonsillite si era trasformata in un’altra cosa», ha rimarcato in aula il perito autoptico, la dottoressa Elena Perlini. Quel “qualcos’altro”, secondo i referti sfogliati dai periti, era la Sindrome di Lemierre, nota anche nella letteratura medica come “la malattia dimenticata”; in pratica, una tromboflebite dovuta a un’infezione della giugulare, riconducibile proprio alla complicanza di un ascesso. La signora, dopo 11 giorni di ricovero, non si è più svegliata.

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