Bancarotta, condannato l'ex vicesindaco di Ravenna . "Insoddisfatto, farò appello"

Ravenna

RAVENNA. Dieci anni e mezzo per l’ex vicesindaco Giuseppe Musca. È questa la sentenza pronunciata ieri dal collegio penale dopo oltre cinque ore di camera di consiglio, al termine delle quali i giudici hanno condannato a otto anni di reclusione anche Susi Ghiselli, moglie dell’ex politico e imprenditore. Assolto invece da tutti i capi d’imputazione il figlio, Nicola Musca, finito pure lui alla sbarra nel processo per bancarotta fraudolenta legato alla maxi inchiesta avviata nel 2012 dalla Guardia di Finanza attorno a un vorticoso intreccio di società che secondo la Procura erano state sapientemente svuotate e portate al fallimento. Fulcro dell’indagine - culminata con l’arresto dei tre imputati nel 2016 - era stato il Grand Hotel Mattei (prima Holiday Inn), posto sotto sequestro preventivo il 23 aprile dello stesso anno. E proprio con la sentenza che ha scagionato il figlio la struttura è tornata in mano all’azienda da lui presieduta.

Dal mutuo per l’hotel al crac

La condanna nei confronti dell’ex vicesindaco si riferisce alla distrazione di 2,4 milioni di euro, ricondotti dall’accusa - rappresentata dai pm Monica Gargiulo e Lucrezia Ciriello - ai canoni di locazione sottratti alla società Arca, dichiarata fallita dal tribunale di Roma con un passivo di 28,7 milioni. A questa si aggiunge la distrazione di altri 3 milioni di euro, imputata anche alla moglie, e parte di un totale di risorse economiche sottratte che la Procura aveva quantificato a circa 17 milioni di euro. Per l’accusa era tutto frutto di un piano in cui «il tempo aveva giocato un ruolo criminale», partito già nel 2005 quando era iniziata la costruzione dell’Holiday Inn di via Mattei. Lo stesso hotel per la cui costruzione era stato chiesto un mutuo, utilizzato poi - secondo l’ipotesi accusatoria - per foraggiare altre attività del “gruppo Musca”.

I risarcimenti alle parti civili

Solo per alcuni capi d’imputazione la famiglia Musca è stata assolta. Gli stessi Pm - pur ribadendo la meticolosità di un’indagine lontana da quello «strabismo investigativo senza precedenti» lamentato dall’avvocato di Musca, Domenico Di Terlizzi - avevano chiesto l’assoluzione per la svalutazione delle quote di Romauto, la storica concessionaria fallita dopo il ritiro della concessione per la vendita di vetture del marchio Opel dalla General Motors. Giuseppe Musca e Susi Ghiselli dovranno anche risarcire le parti civili, liquidando provvisionali pari a 5,5 milioni per il fallimento Arca e 500mila euro ciascuna per Asa, società attiva nel campo delle partecipazioni societarie, e Romauto. Confermato anche il sequestro degli 8 appartamenti a Glorie di Bagnacavallo in favore del fallimento della concessionaria.

Le reazioni

«Chiaramente insoddisfatto della sentenza». Una reazione composta quella di Giuseppe Musca alla lettura del dispositivo. Placido, così come il suo atteggiamento durante tutto il processo, ha annunciato al termine dell’udienza l’intenzione di non arrendersi: «Ricorreremo in appello - ha precisato -, perché sosteniamo la fondatezza della nostra posizione, avvalorata dalle sentenze della Corte di Cassazione presentate dall’avvocato Domenico Di Terlizzi nell’ultima udienza».
Soddisfazione invece nel volto della difesa di Nicola Musca. L’arringa del legale Giorgio Guerra, l’ultima prima della repliche della Procura, aveva puntato sulla sua totale estraneità al “piano” ricostruito dall’accusa. Innocenza che l’avvocato ha giustificato insistendo sulla totale fiducia nei confronti del padre, «figura di grande riferimento» fin dagli anni dell’adolescenza, prima di diplomarsi ed entrare quasi immediatamente nella gestione delle strutture alberghiere del gruppo. Per il legale, Nicola Musca «è stato una pedina in mano alle operazioni del padre Giuseppe Musca». Mettendo sì firme e presenziando ad assemblee, ma sempre affiancato dal genitore e da «altre figure autorevoli», in qualità di «ultima ruota del carro». Insomma, per il difensore «la posizione di amministratore o socio non è sufficiente per delineare un profilo di responsabilità nella bancarotta per distrazione». Nei confronti del figlio dell’ex vicesindaco il pm Lucrezia Ciriello aveva sostenuto, nelle repliche, la «coscienza e volontà delle proprie azioni», eseguite alla luce di «ampi poteri e ruoli importantissimi giocati in decine di società». Ragione per cui la richiesta di condanna era arrivata a 8 anni. 

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