Chiesti 15 anni per l'ex vicesindaco di Ravenna, Musca. Per i pm fu «bancarotta sofisticata»

Ravenna

RAVENNA. Sommate, fanno richieste di pene per un totale di 35 anni. È al termine di una requisitoria durata circa cinque ore che i sostituti procuratori Lucrezia Ciriello e Monica Gargiulo hanno chiesto la condanna dell’ex vicesindaco di Ravenna, Giuseppe Musca a 15 anni, nel processo che lo vede imputato assieme alla moglie Susi Ghiselli e al figlio Nicola Musca per bancarotta fraudolenta. Rispettivamente, per gli ultimi due la Procura ha chiesto condanne per 13 e 7 anni, in quanto ritenuti complici di una macchinazione finalizzata a distrarre capitali per incanalarli in favore degli interessi di un dedalo di società satellite riconducibili - secondo «dati incontrovertibili perché documentali» - al “gruppo Musca”. Al termine della requisitoria davanti al collegio presieduto dal giudice Milena Zavatti (i giudici Federica Lipovscek e Beatrice Bernabei a latere), la pubblica accusa non risparmia nemmeno il difensore dell’ex vicesindaco, l’avvocato Domenico Di Terlizzi, per il quale è stata chiesta la trasmissione degli atti in procura con l’ipotesi di calunnia, per un commento indirizzato al gip Piervittorio Farinella, nel corso dell’udienza in cui disponeva il giudizio immediato nei confronti degli imputati.

Un labirinto di società

È la Pm Ciriello a riepilogare punto per punto i passaggi di un’operazione fatta di cifre astronomiche e manovre finanziarie attorno al 4 stelle Holiday Inn di via Mattei, alla storica concessionaria Romauto, con immobili e lotti di terreno acquistati e ceduti. L’inchiesta, iniziata nel 2012 aveva portato quattro anni dopo all’arresto degli imputati in relazioni ai fallimenti - tra una dozzina di imprese del gruppo - dell’Arca, società operante nel settore immobiliare, dell’Asa, attiva nel campo delle partecipazioni societarie, e della storica concessionaria. «Ricordo nel 2016 la fatica nel ricostruire i capi d’imputazione», esordisce la Pm prima di partire con i tratti salienti di «una vicenda sapientemente orchestrata, complessa e articolata», per sbrogliare la quale gli investigatori della Finanza sono dovuti andare oltre a «una serie progressiva di decisioni formalmente legittime in astratto, ma che lette in un’ottica complessiva del risultato strategicamente perseguito e ottenuto» hanno svelato il «carattere di una fraudolenta super sofisticata sottrazione di asset». Il tempo, precisa, ha avuto uno «strategico rilievo criminale».

L’hotel come fulcro dell’inchiesta

A pesare sulle richieste di condanna è il più grave dei capi d’imputazione, quello relativo il crac di Arca, la società dichiarata fallita dal tribunale di Roma con un passivo di 28,7 milioni. Qui si inseriscono distrazioni economiche per 17 milioni di euro. Per l’accusa il piano parte già nel 2005, quando inizia la costruzione dell’Holiday Inn. L’accusa scandisce i passaggi: Arca ottiene il mutuo, poi, nel 2006 si scinde dando vita a ArcaHotels che viene foraggiata con il denaro proveniente dal finanziamento. Quando l’hotel apre, nel 2009, viene progressivamente annullata l’unica fonte di credito per la società, cioè i canoni di locazione dell’albergo (prima dovuti da ArcaHotels, poi da Ravenna Hospitality, intestata a Nicola Musca, poi ancora da Ghm).

Il dissesto della concessionaria

Al sostituto procuratore Monica Gargiulo spetta la ricostruzione della bancarotta di Romauto, la concessionaria riconducibile fin dagli anni ‘80 ai fratelli Valente, affossata «con l’arrivo di Giuseppe Musca e consorte attraverso operazioni di compensazione che non hanno alcun senso». Alla tesi difensiva che parla di una «colossale truffa» ai danni del gruppo Musca, l’accusa controbatte citando operazioni finanziarie estranee al core business della società, al punto da spingere la General Motors a ritirare la concessione per la vendita di vetture del marchio Opel. Per il fallimento della società l’avvocato Domenico Benelli ha chiesto un risarcimento pari al passivo, quantificato in 1.012.000 euro, e altri 3.685.000 milioni per il fallimento della società Asa. Il legale ha anche chiesto il sequestro conservativo dei beni riconducibili a Musca e Ghiselli, così come una serie di 8 appartamenti a Glorie di Bagnacavallo.

«Tutti responsabili»

«Ero solo io che prendevo le decisioni», aveva più volte ribadito l’ex vicesindaco tentando di smarcare dalle accuse il figlio e la moglie. Per la Procura, però, anche gli altri hanno giocato un «ruolo determinante» nella vicenda. A partire dalla duplice funzione della Ghiselli, non soltanto amministratrice delegata, con poteri in tutte le società coinvolte, ma anche commercialista depositaria delle scritture contabili, in grado di comprendere le scelte fatte. Due parole in più vengono spese per Nicola Musca, citando documenti firmati e ruoli svolti con «ampissimi poteri». Insomma, «non un prestanome» (c’è un altro procedimento aperto per le figure che favorirono il “disegno” del gruppo Musca prestandosi come teste di legno). Chieste le condanne, ribadendo che «in questa vicenda si racchiude tutta la letteratura delle operazioni distrattive fraudolente che si possono rinvenire in materia», la palla è ora passata alla difesa (avvocati Domenico Di Terlizzi, Franco Zecca e Giorgio Guerra). La sentenza è attesa nella prossima udienza.

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