Tentata estorsione glamour: assolti padre e figlia

Cervia

CERVIA. In un momento di difficoltà economiche aveva deciso di arrotondare facendo l’accompagnatrice, accettando di uscire con un uomo che le si era presentato come facoltoso imprenditore in cerca di una ragazza immagine. Dopo le prime serate senza vedere un centesimo aveva iniziato a rivendicare il pagamento. Ma anziché velocizzare il saldo di quanto pattuito, le insistenze, rinvigorite verbalmente anche dal padre della ragazza, avevano spinto il cliente a sporgere denuncia per estorsione nei confronti di padre e figlia. Ieri, per i due imputati difesi dall’avvocato Mattea Mandara il giudice Beatrice Marini ha pronunciato sentenza di assoluzione, derubricando il reato in esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Ingaggiata su Facebook

Era stato proprio il cliente – un 37enne residente a Cervia – a confermare durante l’istruttoria dibattimentale di avere contattato la donna sul social network fingendosi un reclutatore di ragazze immagine e pattuendo una serie di incontri per un compenso complessivo di 3mila euro. Era l’estate del 2012. Le uscite avevano riguardato cene e discoteche, che la ragazza – originaria di Bagno di Romagna e all’epoca titolare di un negozio di abbigliamento nel litorale cervese – si era ritrovata a dover pagare di tasca propria. In un’occasione, poi, ci sarebbe scappato anche un rapporto sessuale. Dopo un mese, però, aveva intuito il “giochino” e presentato il conto. Al diniego del cliente erano partite le insistenze e le telefonate.

I guai per il padre

Nel corso di una delle conversazioni era intervenuto anche il padre della ragazza, un 50enne. Che sentendo alcune frasi dal tono aggressivo pronunciate dall’altro lato della cornetta e pensando che il debito fosse dovuto ad alcuni capi d’abbigliamento acquistati nel negozio della figlia, aveva rincarato la dose, sconfinando – secondo l’accusa rappresentata dal vice procuratore ordinario Annalisa Folli – nell’estorsione. Circostanze che la difesa ha sostenuto non essere riconducibili alle minacce per ricevere denaro, quanto piuttosto a una mancato ricorso all’autorità giudiziaria per fare valere la propria posizione. Ed è così che ieri, presumibilmente, il giudice ha riletto la vicenda.

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