Da piazza San Francesco partono le spoglie di una donna discreta, di silenzi eloquenti più che di parole vuote. Che alzò la voce una volta sola, per amor di verità e nel momento del dolore più grande. Per difendere Raul, che lei mai credette potesse essersi suicidato.
E la Ravenna che le voleva bene si ritrova ancora in quella chiesa, venticinque anni dopo. In prima fila ci sono i figli, che lei riconosceva così orgogliosamente uniti.
Poi i nipoti, a fianco ai quali si siede l’amico di una vita, Vanni Ballestrazzi. Quindi i fratelli.
Sull’altra navata ci sono le rappresentanti dell’altra famiglia, quella delle Carmelitane, di cui lei era diventata terziaria, in un cammino di fede e preghiera che l’aveva aiutata a elaborare quel lutto così forte. Quindi Carlo Sama, stretto ai suoi congiunti.
Defilati, discreti e adombrati sono Riccardo Muti e Cristina Mazzavillani. Si avvicinano per fare le condoglianze, calorosi, solo quando la folla è scemata, almeno un po’.
Dentro la chiesa c’è il gotha dell’imprenditoria ravennate, della finanza e non mancano le istituzioni, le rappresentanze politiche di maggioranza e opposizione. L’ex sindaco Vidmer Mercatali e l’ex vicesindaco Giannantonio Mingozzi introducono il primo cittadino Michele De Pascale, il suo vice, Eugenio Fusignani, oltre al presidente dell’Autorità portuale, Daniele Rossi, alla famiglia Gardini.
Ma sono tanti i cittadini semplici, giovani e anziani. Una di loro accusa uno sbalzo di pressione e viene portata via in ambulanza.
Le parole di Don Ugo
Don Ugo Salvatori sceglie prevalentemente il vangelo di Matteo, le letture di Sant’Agostino e di sua madre Santa Monica e le riflessioni di Santa Teresa di Lisieux per imperniare un’omelia intimistica, volta a descrivere l’Idina di quel quarto di secolo lontano dai riflettori.
«Una donna di una schiettezza benevola – dice –. Non era una suora laica, come è stato scritto. Era una terziaria carmelitana e in questa figura accoglieva i poveri. Ne ha aiutati tanti, con una carità discreta, nascosta, silenziosa. Aborriva le classifiche che l’avevano messa fra le donne più importanti del mondo. Come diceva Agostino, mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e ora finalmente non sono più cieco».
Il celebrante la ricorda lì, nel primo banco della chiesa, ad ogni funzione: «Aveva bisogno di un rapporto diretto con Dio. Avvertiva la necessità di attingere all’eterno, per questo si metteva vicino all’altare. E forti di questo – dice rivolto ai parenti – dovete ricordare le parole di Santa Teresa: “Io non muoio, Gesù mi viene a prendere”. Eleonora, Ivan Francesco, Maria Speranza – dice rivolto ai figli, chiamandoli dall’ambone – dovete ricordare quanto Idina vi amasse. Così come adorava immensamente i nipoti, che seguiva uno a uno».
Il ricordo della nipote Sofia
Una di loro si alza, e si avvicina al leggio. Con voce trafelata e cristallina, emozionata ma solida, lascia un ricordo indelebile. E’ Sofia che ricorda l’amore della nonna per le rose: «Mi mancheranno i fiori che mi facevi trovare in camera mia al mio arrivo a Ravenna. Mi mancheranno gli scherzi in piscina e i tuoi insegnamenti. Quando mi dicesti che bisognava essere educati anche con i maleducati. Mi dicesti, un giorno, che ti avevo salvata dal cancro. Mi dispiace, nonna, di non averti salvata una volta ancora».
Ritorna al banco con passo delicato e non perde il contegno nemmeno dopo quelle parole così intense e difficili. Molti sguardi si incrociano per condividere una silente ammirazione e altri si distolgono per nascondere lacrime di commozione. Don Ugo procede alla benedizione della salma e mentre l’incenso ancora aleggia a mezz’aria una folla compita svuota la chiesa di San Francesco. Idina se ne va e quello che rimane è solo un sentore di rosa bianca, elegante e discreto. Come lei.