L’entomologo: «La maggior parte degli infetti viene dalla campagna»

Rimini

Ravenna

Dieci casi. Tre decessi. In Romagna la febbre del Nilo Occidentale ha scelto la provincia di Ravenna per colpire con più costanza. Un paio, fra le 10 persone colpite, risultano ancora ricoverate in ospedale, mentre la maggior parte è stata dimessa. Tre anziani, secondo quanto emerso nei giorni scorsi, sono deceduti, due uomini residenti nella Bassa Romagna e una donna nel Faentino. Questo è quanto risulta sulla scorta degli episodi di cronaca che vedono il territorio Ravennate più colpito rispetto alle altre province (a Cesena i casi di persone infette sono circa 4). Siamo però distanti dalla diffusione di virus come il Dengue o l’ormai lontana ondata di Chikungunya. Una differenza che si spiega descrivendo le modalità di diffusione della West Nile.

Grave uno su 150

In gergo le chiamano così: “malattie vettoriali”, che usano cioè un vettore per spostarsi da un “serbatoio” all’altro e non si trasmettono da uomo a uomo. Il dottor Claudio Venturelli, entomologo dell’Ausl descrive come il virus si diffonde: «Gli uccelli sono il “serbatoio”, in particolare corvidi e gazze che si ammalano in un altro Stato e poi arrivano in Europa con le rotte migratorie. Se una zanzara li punge si infetta e diventa “vettore”, cioè trasportatore della malattia verso un’altra destinazione che può essere l’uomo o i cavalli, gli altri mammiferi per i quali il virus può essere mortale». Ma se per gli equini un vaccino esiste, l’uomo deve ricorrere a cure come antidolorifici o cure di mantenimento.

La probabilità di ammalarsi non è alta, così molti non sanno neppure di averla contratta. «Solo un 20 per cento - prosegue Venturelli, - manifesta febbre simile alle febbri estive, mal di testa, debolezza, nausea. Uno su 150 si ammala in forma più grave. «I sintomi in questo caso - prosegue l’esperto - sono principalmente encefalite, che se si somma a problemi cardiopatici, di diabete o renali, possono diventare concausa di un decesso». E non è un caso che tutti i decessi avessero un’età superiore agli 80 anni.

I tre decessi

La prima vittima risale alla prima metà di agosto, quando a morire all’ospedale di Faenza fu una donna di 84 anni che era già gravemente malata. La donna veniva da una situazione clinica già compromessa da una grave patologia che ne aveva abbattuto le difese immunitarie. Il secondo caso è emerso il 21 agosto: un 85enne anche in questo caso già compromesso, tra i primi pazienti ricoverati con questa patologia, si è spento all’ospedale di Lugo dopo essersi presentato al nosocomio con la febbre alta. Infine il decesso di un 83enne lunedì sera, sempre all’Umberto I.

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