«Dal corso a scuola al set internazionale coi giganti del cinema»

Ravenna

RAVENNA. Tutto poteva concludersi in un ritorno a Ravenna, forzato da una difficile situazione familiare. E invece poi, proprio a Ravenna, ha avuto il “fatidico incontro col successo”. Anche se offrendoti il caffè si prodiga nell’afferrare la tazzina e agevolartela al tavolino, Derek Boschi: «Beh, magari tornerò a fare il barista», dice sorridente con una punta di scaramanzia. Ma oggi è attore, sta girando una serie prodotta dalla Cbs e che potrà essere vista su Rai e Netflix assieme a John Turturro, Rupert Everett, James Cosmo e Fabrizio Bentivoglio, per la regia di Giacomo Battiato. Otto puntate su Il nome della Rosa.

Hai fatto tanti lavori nella tua vita, ma come è nata la passione della recitazione?

«Sì, ho sostenuto, con varie attività, la mia formazione di attore. Mentre ero a Londra, per imparare il teatro shakespeariano, facevo il gallerista d’arte. Durante la frequentazione dell’accademia a Roma ero anche modello di abbigliamento. Ma ho sempre voluto fare questo mestiere da quando, in quarta superiore all’istituto del Mosaico, frequentai un corso diretto da Roberta Ranieri. Eravamo un gruppo così stimolante che l’anno dopo ci chiese di diventare una compagnia teatrale...».

Pochissima della tua vita artistica si svolge a Ravenna, però...

«Questo lo devo a mia madre, che quando, sin dai 14 anni, volevo girare mezzo mondo per sete di conoscenza delle persone, mi lasciava piena libertà. Ma un primo appuntamento importante avvenne al Boca Barranca...».

Non è semplice immaginare Marina Romea come il trampolino di lancio di una carriera attoriale...

«In un primo momento fu così. Ero il barista e un paio di ragazze si fermano a parlare, e viene fuori che una di loro lavora per Moviment, un’importante agenzia di Milano. Fu da lì che divenni uomo immagine per Pokerstars.it, Better Lottomatica, opinionista in Campioni, il reality sul Cervia Calcio. Intanto proseguivo la mia formazione e frequentavo l’accademia di Antonio Albanese a Bologna».

E come sfiorasti il grande schermo, una prima volta?

«Trovandomi Wolfango De Biasi sul divano del mio appartamento a Roma, ospite del mio coinquilino. Dovevo essere in Come tu mi vuoi, ma quel film non lo feci a causa di una telefonata...».

Di chi?

«Di mia madre, che mi spiegava di avere scoperto di avere una grave malattia. Quindi tornai a Ravenna, lasciando la prospettiva di quel film e bruciando il provino in 1992, la serie ideata da Accorsi. Mi chiesero di fare “un ragazzo solare”, non mi era possibile. Per cinque anni, se non ci fossero stato lo Spartaco e poi l’Aurora (oggi Abajur) a darmi la possibilità di attivare un laboratorio teatrale, non so dove avrei potuto sfogare la mia necessità creativa».

E poi?

«E poi un’altra telefonata, due anni fa. Anche questa inaspettata ma di tutt’altro genere. Era Raffaella, la moglie del regista Stefano Salvati. Spiegai che da ormai un lustro non ero in attività, che nemmeno stavo più a Roma. Poi mi richiama lui e mi spiega che erano loro a Ravenna, per un videoclip. Facevano Il pescatore di De Andrè, laddove la canzone era nata».

Come andò il provino?

«Di merda (ride, ndr). Gli feci un monologo dal Pentothal di Pazienza, dall’espressione intesi che anche lui non era per nulla convinto. Poi mi chiese di improvvisargli due personaggi di mia ispirazione. Fu molto divertito e alla fine “l’Assassino” ero io. E fui Lucignolo poco dopo, per il suo Pinocchio nel videoclip, girato sempre a Ravenna, per la canzone di Edoardo Bennato».

Ed ora condividi il set con dei mostri sacri del cinema mondiale.

«Potevo avere un personaggio più forte, ma con una parte breve. O uno secondario, con una parte più diluita su varie puntate. Ho scelto la seconda e ne sono felice. Vederli all’opera è un’esperienza professionale incommensurabile, sto imparando moltissimo».

Per esempio?

«Beh, ho fatto una domanda a Rupert Everett. Cosa è più importante per un attore sul set? Lui secco e convinto, “una sedia comoda”. Beh, con dei turni anche di 11 ore in attesa delle varie sequenze posso assicurare... ha ragione lui».

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