Condanna a 7 mesi, don Ugo: "Non capisco perché mi hanno accusato"

Ravenna

RAVENNA. «Nel 2015 l’ospite dell’albergo, non della casa di cura, si è gettò dalla camera. E adesso vogliono imputare a me quel suicidio». A parlare è don Ugo Salvadori, il parroco di San Rocco, che giovedì mattina ha ascoltato con stupore la condanna a 7 mesi inflittagli dal giudice per omicidio colposo. Per il sacerdote ravennate si tratta della prima condanna, ma il suo legale Giovanni Scudellari ha già annunciato l’appello alla condanna, ribadendo come la gestione del Marepineta, la struttura di Marina di Ravenna dove nel marzo del 2015 avvenne la tragedia, in quegli anni non fosse in capo a don Ugo. Una considerazione che ribadisce anche lo stesso sacerdote, spiegando come «la fondazione San Rocco aveva dato in affitto l’albergo Marepineta alla Crismare nel 2012, che l’ha gestito come fosse un albergo normale e non una casa riposo. Avevamo deciso di affittarlo perché non eravamo più in grado di gestirlo, quindi non capisco perché debbano imputare a me il fatto. Dato che la Cassazione ci aveva già dato ragione su altri aspetti dell’inchiesta».

L’indagine dei carabinieri era partita dopo che quella notte di fine marzo di tre anni fa, un 90enne ospite dell’hotel si era lanciato da un terrazzo morendo sul colpo. Secondo le ricostruzioni fatte allora dai Nas, coordinati dal pm Angela Scorza, l’uomo quella sera si stava aggirando in stato confusionale per i corridoi della struttura, prima che avvenisse la tragedia, consumatasi secondo l’accusa perché l’uomo non aveva ricevuto cure e soccorso adeguati. Le verifiche dei militari avevano poi permesse di appura la totale assenza di personale qualificato all’interno del Marepineta, arrivando così a contestate agli indagati di non aver garantito «per negligenza e imprudenza» gli adeguati controlli. Insieme a don Ugo era infatti indagato anche Salvatore Mendolia, socio della Crismare subentrata alla fondazione San Rocco nella gestione della struttura, che ha patteggiato sei mesi di carcere, poi convertiti in una pena pecuniaria pari a 45mila euro. Ma è sulla presenza o meno di personale qualificato che, presumibilmente, si giocherà l’appello, dato che come ribadisce il sacerdote dal 2015 il Marepineta era gestito come hotel e non più come casa di riposo.

Per quanto riguarda invece i familiari della vittima, avevano rinunciato a costituirsi parte civile nel processo in seguito a un accordo risarcitorio.

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