Gapar, la rabbia degli ex dipendenti: «Tanti sacrifici per l’azienda, ci siamo sentiti presi in giro»

Ravenna

RAVENNA. Rabbia e amarezza serpeggia fra gli ex lavoratori della Gapar all’indomani degli arresti per bancarotta fraudolenta disposti a seguito della maxi inchiesta della Guardia di Finanza sul fallimento dell’azienda, avvenuto nel 2015.

Dieci gli indagati – fra vecchi e nuovi proprietari della storica azienda specializzata nel commercio all’ingrosso di prodotti alimentari e da forno – alla luce dell’indagine che ha chiarito le cause che hanno portato alla chiusura: a far fallire la società, secondo la procura, sarebbe stata un’operazione di bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio.

Il tracollo costò il posto a 44 dipendenti. Fra questi Alessandra Sportelli Negrini, che lavorava come capoturno nel magazzino dal 2009 ed è rimasta in azienda fino alla chiusura, insieme a una decina di colleghi: «Prima di essere lasciati a casa facemmo una riunione al venerdì per parlare del licenziamento collettivo; chiesi a uno dei responsabili se era il caso di andare a portar via le mie cose dall’armadietto e mi rispose che era prematuro. Il lunedì successivo furono apposti i sigilli all’azienda. Le mie cose sono ancora là...».

La preoccupazione di Alessandra era ben motivata: «Eravamo rimasti in una decina, a rotazione, e da mesi ormai andavamo a lavorare per fare poco o niente. Il lavoro non c’era, il fatturato era crollato a 7-8mila euro al giorno, a fronte dei 90mila minimo di prima, che salivano anche a 220-230mila nei periodi in cui l’attività era più intensa».

Un lavoro pesante per molti, ma il senso di appartenenza era forte: «Mi capitavano turni che dalle 11 della mattina si protraevano anche fino alle 3/4 di notte, anche nel fine settimana e nei festivi. Ma era il nostro lavoro e si faceva volentieri».

Proprio per i sacrifici affrontati e l’attaccamento all’azienda, la delusione e la frustrazione per un fallimento che aveva aspetti poco chiari anche agli occhi dei dipendenti sono state cocenti: «Ci siamo sentiti presi in giro; in più nell’ultimo periodo si presentavano in magazzino i creditori per essere risarciti. La merce in giacenza in magazzino è stata svenduta per due soldi: credo che per un valore che poteva aggirarsi intorno agli 8 milioni ne siano stati realizzati non più di 4. Circolavano voci che ci fossero giri poco chiari, ma io non mi sono mai fidata delle voci. Certo però i clienti storici li avevamo persi tutti, e così i fornitori, quando hanno cominciato a non essere più pagati».

Il dramma dei lavoratori

Se molti colleghi hanno scelto di andarsene prima che la barca affondasse, Alessandra fa parte di quelli che sono rimasti fino all’ultimo, aspettando le sentenze. «Gli stipendi alla fine li ho ricevuti tutti, ma l’ultimo mi è arrivato quest’anno. Molti dei miei colleghi che hanno perso il lavoro erano l’unica fonte di sostentamento della famiglia».

Per i lavoratori licenziati non è stata concordata nessuna forma di ammortizzatore sociale; hanno beneficiato solo della Naspi – l’indennità mensile di disoccupazione per i lavoratori licenziati – e dell’inserimento nelle liste di mobilità.

A tre anni dalla chiusura della Gapar, Alessandra è riuscita a ricollocarsi con mansioni simili solo da poco, dopo un paio di esperienze a termine.

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