Le donazioni sono ancora in calo. «Fatelo prima di andare in vacanza»

Ravenna

RAVENNA. A pochi giorni dalla giornata mondiale del donatore, che si è tenuta il 14 giugno, Renzo Angeli, vicepresidente di Avis Emilia Romagna e segretario provinciale di Avis Ravenna, traccia un bilancio della situazione: «Rispetto al 2017, sono un centinaio le donazioni in meno, ma cresce il numero di nuovi donatori. Tra questi anche giovani e migranti».

Già lo scorso anno le donazioni in provincia registravano un segno meno. Quanto è critica la situazione?

«Confrontandoci con il mese di maggio 2017, le donazioni di sangue e plasma nel complesso sono circa un centinaio in meno. I consumi qui nel Ravennate sono piuttosto stabili, per cui, nonostante il calo, la situazione resta gestibile e siamo in grado di soddisfare e garantire il fabbisogno degli ospedali, anche in relazione a “picchi” dovuti a particolari richieste dei pazienti. Pur non essendo emergenza, la chiamata vale sempre e continuiamo senza sosta a promuovere la donazione, soprattutto tramite la prenotazione, sulla base delle esigenze che ci vengono segnalate tramite il “bollettino” del sangue. Attraverso questo bollettino è possibile verificare per ogni gruppo la disponibilità o meno di scorte sufficienti e, attualmente, si registrano carenze nei gruppi sanguigni A+ e B-. La cosa importante, e questo è l’invito che facciamo, è non dimenticarsi di donare prima di andare in vacanza, perché allora la situazione può diventare seriamente problematica».

Se volessimo tracciarne un identikit, chi è il tipico donatore ravennate?

«Nel target dei nostri donatori, c’è un nucleo di “fidelizzati” costituito da persone dai 35-40 anni in su che si presentano due, tre volte all’anno con una certa periodicità. Stiamo rilevando un aumento nel numero di nuovi donatori, tra cui una buona base rappresentata dai giovani. Il problema è che questi ultimi, per lo studio o per il lavoro e la difficoltà di chiedere un giorno di riposo, donano senza una frequenza concreta, generalmente una volta all’anno. Per un vero ricambio generazionale servirà tempo».

Anche i cittadini migranti sono una risorsa importante per il sistema trasfusionale?

«L’anno scorso abbiamo fatto proprio una campagna insieme all’associazione che gestisce la moschea di Ravenna, un percorso che ha dato ottimi risultati e che stiamo portando avanti. Si sono presentate tante persone, 48 quelle idonee che hanno donato il sangue e che continuano a farlo tuttora. Sono cittadini che vivono il territorio, che vivono nella realtà di Ravenna e che desiderano dare un proprio contributo».

Parliamo della cultura del dono. È importante che questa inizi ad entrare nel dibattito pubblico come gesto normale e quotidiano. Come ci si può arrivare secondo lei?

«Cercando di sensibilizzare il più possibile le persone e far comprendere concretamente quanto è importante la loro donazione. Insieme all’Avis Emilia Romagna, di concerto con l’Advs, stiamo gestendo 31 pazienti che necessitano di trasfusioni ogni settimana: senza donatori di sangue, questi pazienti non potrebbero fare alcuna trasfusione, quindi ne calerebbero le aspettative di vita. Questo è quello che vogliamo far capire: il sangue donato non rimane lì e poi si vedrà se utilizzarlo. Il sangue dei donatori è già destinato ad aiutare chi ne ha bisogno. La cultura del dono per noi è questo: prendere coscienza che la donazione può aiutare in modo immediato, mirato e preciso una persona che ne ha necessità».

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