Frodi finanziarie e vendette “esplosive” Tra gli arrestati anche tre faentini

Faenza

FAENZA. L’inchiesta “Vicerè” che ha portato all’arresto del vice prefetto Giovanni Daveti, dirigente dell’ufficio distaccato della prefettura di Livorno all’Isola d’Elba, e di Giovanni Belfiore, 61enne ritenuto affiliato alla cosca della ’ndrangheta di Gioiosa Ionica e fratello del killer che nel 1983 uccise il procuratore di Torino, Bruno Caccia, ha coinvolto anche il Faentino.

La costola manfreda

Tre dei destinatari delle nove misure restrittive emesse dal gip toscano Marco Sacquegna, su richiesta del procuratore capo di Livorno, Ettore Squillace Greco, risiedono infatti in città: si tratta di Davide Alpi, imprenditore 53enne noto in città per aver gestito numerosi locali, tra cui Villa Rotonda, il ristorante andato a fuoco in circostanze dubbie due anni e mezzo fa, Mattia Boschi, 40 anni, e Giambattista Ancarani, 66enne operante in passato nel ramo dei fuochi pirotecnici e degli spettacoli in manifestazioni di rilievo come le Feste medievali di Brisighella e altre rassegne analoghe in giro per l’Italia. Ai tre, posti ai domiciliari e assistiti dagli avvocati Raffaele Coletta del foro di Ravenna, Marco Di Maio di Bologna e Cecilia Bellucci di Livorno, gli uomini della guardia di finanza hanno notificato i provvedimenti a loro carico. Alpi e Boschi in quanto ritenuti membri dell’organizzazione, Ancarani per la vicenda dell’esplosivo.

L’inchiesta

La genesi dell’indagine ha preso le mosse da un accertamento per abusi edilizi relativi a un parcheggio avviata in un comune dell’Isola d’Elba. Così nella primavera del 2017 i militari delle fiamme gialle hanno avviato controlli sul conto del dirigente pubblico, sospettato di essere coinvolto in vari contesti illeciti non connessi però con il ruolo e le funzioni istituzionali ricoperte. E in questo contesto si innesta la storia dell’attentato. Secondo quanto emerso, il vice prefetto, ritenendosi vittima di una truffa immobiliare con un amico, avrebbe pianificato una vendetta incaricando un altro componente dell’associazione di procurarsi esplosivo con cui far saltare le auto del truffatore e dei suoi familiari; e proprio per reperire il materiale necessario il “gancio” interpellato si era rivolto ad Ancarani in virtù della sua attività di commercio nel settore dei fuochi pirotecnici.

Era stata quella la molla che ha imposto un’accelerazione alle indagini, tanto che il pacco sospetto composto da quattro cariche esplosive, per oltre un chilo di peso, confezionate in modo da poter essere azionate a distanza con un telecomando era stato intercettato nel novembre scorso durante la consegna.

Le frodi fiscali

Le indagini hanno inoltre tolto il velo su un giro di frodi fiscali. Stando a quanto ricostruito dalla Finanza, infatti, Daveti, che da un pregresso accertamento tributario risultava destinatario di cartelle esattoriali per oltre 115mila euro, sarebbe riuscito tramite i contatti con il clan calabrese ad abbattere la propria pendenza debitoria sfruttando in compensazione inesistenti crediti Irpef creati in modo artificioso e sfruttati per compilare i modelli unificati di pagamento F24. Il sistema usato prevedeva il frazionamento dell’importo in somme minori e il pagamento tramite l’home banking di somme irrisorie (1 euro) con fittizia compensazione di decine di migliaia di euro. Meccanismo utilizzato anche da altri soggetti che avrebbero abbattuto posizioni debitorie nei confronti del Fisco per un valore di 1 milione di euro. In una circostanza della compensazione fraudolenta avrebbe beneficiato un’imprenditrice faentina moglie di uno dei componenti dell’associazione a delinquere a sua volta concorrente nella condotta delittuosa ascritta al coniuge per un importo di quasi 175mila euro; il tutto per occultare la reale situazione economica e opporsi a un’istanza di fallimento che avrebbe potuto incidere sul patrimonio familiare della coppia.

Vantaggi economici che prevedevano compensi per i favori; il 22% degli importi sarebbe andato al pregiudicato calabrese, l’8% sarebbe stata la commissione spettante al vice prefetto.

Dall’indagine sarebbero emerse anche condotte illecite nel settore del commercio internazionale di prodotti alcolici al fine di evitare il pagamento delle accise, capitolo che ha portato alla denuncia di un cesenate.

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