Le firme non fermano le ruspe

Rimini

RAVENNA. «An putèm». Non possiamo. «Se ci si chiede di riconoscere il loro valore storico, siamo d’accordo, ma se ci si chiede di graziare i capanni costruiti in barba a un vincolo ambientale, non possiamo». La petizione (3.500 le firme) per salvare i capanni costruiti prima del ’70 e senza autorizzazioni infiamma le commissioni riunite in consiglio comunale: il firmatario accoglie consensi (quasi) bipartisan, ma l’assessore frena gli entusiasmi. «Se non ci sono i presupposti giuridici - dice Guido Guerrieri, titolare della delega all’Ambiente -, il Comune non può autorizzare un capanno in sfregio al vincolo paesaggistico». Insomma, no alla “sanatoria ambientale”. Ma Giuseppe Benini, primo firmatario della petizione e vicepresidente della cooperativa fruitori degli ambiti naturali ravennati, si accalora e fa i conti in tasca a Palazzo Merlato: «Abbattere 170 capanni sulle pialasse, vi costerà otto milioni di euro». Tanti sarebbero quelli abusivi costruiti su Baiona e Piomboni.

Era piena di capannisti, ieri pomeriggio, la sala del consiglio comunale: gente in piedi e facce cupe. E l’applauso scrosciante, poi abortito dal direttore dei lavori che ha ricordato i vincoli del regolamento consigliare, è esploso solo al termine dell’intervento di Benini che ha parlato da capannista innamorato. Parla di storia, di tutela dell’ambiente, di attenzione alla riqualificazione specie quando sarà il momento di ripulire i manufatti dai quintali di eternit di cui sono ricoperti e chiarisce: «I capanni non hanno nulla a che vedere coi pied-à-terre, ma nemmeno a me piacciono i “rockfeller center”», fa ironia chiedendo al Comune di mettere ordine a chi s’è costruito la villetta al posto del luogo di pesca. Per non parlare delle cavane, cioè degli approdi per le barche: che sia l’amministrazione a costruirle e poi faccia pagare la concessione, dice lui, altrimenti ognuno fa come gli pare e le ruspe saranno sempre in azione. Il suo sentimento travolge gran parte dell’aula, ma è il consigliere del Pd Antonio Zampiga, a frenarlo: «Come si fa a dire che dopo il ’70 son tutti cattivi e prima son tutti buoni? La situazione è complessa, non va tagliata con l’accetta». E l’assessore Guerrieri prosegue nel suo ragionamento: «Condivido appieno il valore storico dei manufatti, ma è inutile buttarla sulla questione economica: sull’Imu che non incasseremo, o su quanto pagheremo per le demolizioni. Tutto questo esula dalle nostre competenze, ma se la petizione ci chiede di fare atti illegittimi, allora non possiamo. An putèm», dice rivolgendosi alla platea dei capannisti. «Quello che potevamo fare, lo abbiamo fatto nella tutela di questo patrimonio culturale che vogliamo riconoscere nelle misure di cosa è legalmente consentito. Se un capanno è del ’20, quando ancora non c’era bisogno del permesso edilizio, non c’è problema. Ma i vincoli paesaggistici non possiamo scavalcarli».

Passato il momento ostico del dibattito sulla petizione, dalla prossima settimana verranno discusse le osservazioni e solo allora la commissione valuterà quale assorbire nel nuovo regolamento che, varato a inizio 2013, verrebbe così in parte modificato.

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