Gli amici di Cagnoni: «Contro Matteo accanimento mediatico»

Ravenna

RAVENNA. L’avvocatessa che da qualche anno faceva parte della schiera di conoscenti l’ha descritto come una persona «affabile, gentile, educata, disponibile». Uno degli amici d’infanzia l’ha invece dipinto come uno «sempre presente su cui poter fare riferimento», l’altro amico di lunga data come un uomo «colto, con tanti interessi e intelligente», il terzo, che lo conosce sin da bambino, «come un professionista sempre corretto nei comportamenti con tutti».

Doti e qualità riferite a Matteo Cagnoni e tratteggiate in aula dai testi citati dai difensori che, seppur «poco pertinenti rispetto al processo in corso» come evidenziato dal sostituto procuratore Cristina D’Aniello e dal procuratore capo Alessandro Mancini, sono comunque serviti ai legali dell’imputato, gli avvocati Giovanni Trombini e Francesco Dalaiti, per far emergere un quadro della personalità del dermatologo accusato di aver ucciso la moglie diverso da quanto emerso finora davanti alla Corte d’Assise.

I commenti

Nessuno ha riconosciuto l’immagine del medico come quella di un «manipolatore», una persona «aggressiva», «violenta» o «vendicativa». Ma al contempo nessuno di loro aveva mai avuto sentore «della crisi coniugale» della coppia.

C’è stato un testimone che ha difeso Cagnoni a spada tratta arrivando a parlare di «bieco scandalismo dei giornali, che in alcuni articoli nazionali lo hanno descritto come fosse un ereditiere tipo Dinasty che girava in Bentley, tutte cose non vere» e di «accanimento della magistratura», giungendo a esprimere la propria considerazione in una lettera spedita all’imputato sulla necessità che «i giudici come i medici rispetto ad altre professioni hanno una sorta di obbligo morale di avere per il caso una capacità di terzializzazione (imparzialità nell’analisi, ndr) che in altri mestieri non è richiesto».

Ma c’è stato anche chi ha preso in qualche modo le distanze, come l’ex vicesindaco Giannantonio Mingozzi che, comparso ieri davanti alla giuria presieduta dal giudice Corrado Schiaretti (a latere Andrea Galanti), ha definito il dermatolo accusato di aver ucciso la moglie da cui si stava separando come «una persona che ha cercato in vario modo di rendersi noto pubblicamente», uno «con una punta di ambizione, che non è certamente una colpa» ma che lo rendeva come «uno che in politica si direbbe che vuole apparire».

In occasione degli incontri pubblici e delle cene a cui era presente anche la moglie trovava massacrata dalla polizia nella villa disabitata di famiglia Mingozzi ha avuto l’impressione che Matteo Cagnoni e Giulia Ballestri fossero «una coppia normale. Qualche volta è venuta con lui in Comune quando, in occasione delle sue iniziative, chiedeva il patrocinio dell’Amministrazione. Rispetto a lui era molto silenziosa, diciamo che la accompagnava in modo molto semplice, senza intervenire quasi mai. Alla presentazione del libro non mi sembrava entusiasta. Costretta? No mi sembra di poterlo dire, la sensazione era quella di quasi indifferenza. A cena, ma stiamo parlando ormai di quattro o cinque anni fa, era una perfetta padrona di casa, gradevolissima con gli ospiti. Da tre anni infatti non ci siamo più visti; da quando non ho più avuto incarichi istituzionali Cagnoni ha smesso di cercarmi e immagino che la sua attenzione fosse più verso l’istituzione o alla carica che rivestivo che non per la persona».

In un’udienza più breve del previsto per via dell’assenza per impegni concomitanti di oltre la metà dei testimoni citati hanno così trovato spazio più che altro delle opinioni. Impressioni del tutto personali che si sovrappongono, in parte allineandosi e in parte distanziandosi, rispetto a quelle già ampiamente entrate nel processo, ma che in un senso o nell’altro sembrano comunque destinate ad avere un peso decisamente marginale.

Apprezzamenti e critiche, impressioni positive e negative, testimonianze di vicinanza o giudizi tranchant non paiono infatti in grado di fungere da ago della bilancia come sia ieri che in altre occasioni fatto capire dal presidente della Corte. Più un dettaglio di contorno, insomma, che un aspetto sostanziale. La partita tra condanna e assoluzione si giocherà su altri elementi.

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