Casa e lavoro falsi: così l’attentatore di Berlino cercò di mettersi in regola nel Ravennate

Faenza

RAVENNA. Tracce del passaggio di Anis Amri in Romagna erano finora emerse, come pubblicato l’estate scorsa su queste stesse colonne, da un fascicolo aperto dal pubblico ministero Daniele Barberini nei confronti dell’attentatore di Berlino e di quattro connazionali per violazioni del testo unico dell’immigrazione, in particolare l’articolo 5 comma 8 bis che sanziona la contraffazione, l’alterazione di visti, di permessi o di carte di soggiorno e l’uso di tali documenti.

Gli intrecci

Irregolarità che potrebbero essere collegate a un’altra vicenda che vedrebbe lo jihadista che si è lanciato con un camion contro la folla ai mercatini in Germania coinvolto, seppur non come indagato ma come fruitore delle pratiche, in un procedimento sempre per il medesimo titolo di reato approdato ieri davanti al gup Antonella Guidomei e costato il rinvio a giudizio per tre persone: un imolese (difeso dall’avvocato Marco Toschi) già in passato implicato in indagini relative al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, un marocchino di 35 anni sempre residente a Imola (assistito da Barbara Amaranto) e un 31enne tunisino residente a Faenza tutelato dall’avvocato Nicola Laghi.

La documentazione

Condizionale d’obbligo per via di dati anagrafici mutevoli e difficilmente verificabili, considerata anche la facilità con cui Amri ha dimostrato nel tempo di cambiare nomi, identità e date di nascita come dimostrano gli alias, almeno una dozzina, con i quali si è spacciato per tunisino, libanese e persino egiziano e la relativa attendibilità di documentazione da parte delle autorità del paese nordafricano, ancor più nei delicati mesi della “Primavera araba”.

Perché è in quel periodo, a febbraio del 2011, che Amri sbarca a Lampedusa quando in teoria era già maggiorenne (risulterebbe infatti nato nel dicembre del 1992) anche se nella richiesta di asilo dichiarò di essere nato solo nel 1994. E dai documenti inseriti nella documentazione allegata agli atti del fascicolo trattato in udienza preliminare l’Anis Amri in questione sarebbe venuto alla luce proprio nell’autunno di quell’anno.

L’inchiesta della Procura

A far scattare l’inchiesta coordinata sempre dal sostituto procuratore Daniele Barberini, sono state alcune anomalie legate alle richieste di permesso di soggiorno pervenute tra il 2011 e il 2012. Gli accertamenti hanno portato a ipotizzare responsabilità in capo a sei persone, tra cui anche un tunisino residente a Imola e attualmente irreperibile.

Stando a quanto emerso, quest’ultimo, titolare di una ditta individuale, avrebbe fornito ad Amri e a un altro maghrebino un contratto di lavoro subordinato come manovale, mentre il connazionale di Faenza difeso dall’avvocato Laghi avrebbe fornito la comunicazione di ospitalità.

Documentazione solo di facciata, dal momento che il tutto era finalizzato all’ottenimento del permesso di soggiorno. L’Amri in questione, che per alcuni giorni sarebbe anche transitato da Imola, non avrebbe mai lavorato per conto dell’azienda edile né avrebbe mai abitato a Faenza.

Quelle attestazioni, per le quali avrebbe pagato 1.300 euro per l’assunzione simulata e 100 euro per un alloggio esistente solo sulle carte, sarebbero servite esclusivamente per presentare la pratica agli uffici competenti ai fini della regolarizzazione.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui