Cagnoni, domani il giorno della verità. Ecco le domande a cui deve rispondere

Rimini

RAVENNA. È il giorno più atteso. Quello di Cagnoni. Quello in cui il medico accusato di aver ucciso a bastonate la madre dei suoi tre figli potrà, anzi dovrà, parlare. Non che finora sia mai rimasto in silenzio, tra dichiarazioni alla corte, reazioni in aula e lettere inviate ad amici, conoscenti e ai quotidiani. Ma domani Cagnoni avrà un compito molto più delicato. Un compito che finora, in questo anno e mezzo di carcere, non aveva mai avuto: quello di dover rispondere direttamente alle domande del pm Cristina D’Aniello, chiamata a far luce sul femminicidio che ha sconvolto Ravenna. Il dermatologo, in realtà, in questi mesi aveva già risposto a un giudice. Ma si trattava del gip del tribunale di Firenze, di fronte alla quale era comparso poco dopo il suo arresto nel settembre del 2016. Ora, però, sarà diverso: perché in mano all’accusa ci saranno anche gli esiti degli accertamenti fatti dalla Squadra Mobile di Ravenna e dagli investigatori Sco dei Roma, il reparto di punta della polizia italiana. Elementi, secondo l’accusa, dirimenti: come le impronte digitali del medico lasciate sul sangue di Giulia nella villa del delitto. Ma al netto di quel dato scientifico saranno tante, presumibilmente, le domande che il pm D’Aniello porrà all’imputato. Domande tese a evidenziare le contraddizioni emerse in questi mesi nella versione di un uomo che continua a ribadire con forza la sua innocenza dal carcere.

Gli interrogativi

Proviamo ad elencarle: perché Cagnoni non è tornato a Ravenna mentre i familiari di Giulia la stavano cercando?

Perché non si interessò mai personalmente dell’esito delle ricerche?

Perché ha detto di non aver avuto tempo di tornare in Romagna, ma lo trovò per andare quella domenica all’aeroporto di Bologna e persino dal suo avvocato penalista?

Perché, poi, non disse a nessuno di quel viaggio a Bologna?

Perché lo fece lasciando il proprio cellulare a Firenze?

E ancora: perché ha giustificato il passaggio all’aeroporto di Bologna con la volontà di comprare un orologio al figlio? Gli sembra credibile, in un momento di forte tensione come quello, pensare di avere la priorità di regalare un orologio a un figlio?

E poi ci sono quei cuscini della casa dell’orrore, sporchi del sangue di Giulia, trovati dalla polizia nella villa di famiglia a Firenze.

Chi li ha portati in Toscana? E perché? E come facevano ad essere sporchi di sangue se Cagnoni giura di aver lasciato la moglie viva a Ravenna?

E di chi è quella borsa bianca che si vede uscire dalla sua auto poco dopo il suo arrivo a Firenze?

I dubbi sulla fuga

Ma molte cose non tornano nemmeno sulla fuga del medico, giustificata con un attacco di panico: perché mandare a un’amica un messaggio con scritto “è successa una disgrazia” prima di essere informato dalla polizia del ritrovamento del cadavere di Giulia?

E come faceva sua madre a sapere della morte di Giulia?

E perché le motivazioni date alla polizia da sua madre sono identiche alla versione che Cagnoni stesso sta proponendo nelle sue lettere: quella dello straniero che uccide a scopo di rapina.

Ma se fosse stata una rapina, perché uccidere Giulia in quel modo e con quella crudeltà?

E come spiega Cagnoni il sangue di Giulia trovato anche sui suoi jeans e persino su un pezzo di legno compatibile con il tronco usato per uccidere quella povera donna?

Tronco che - bisogna ricordarlo - per l’accusa è lo stesso dell’albero potato nella sua villa di Marina Romea.

Qualcuno insomma lo aveva portato lì. Chi?

I beni venduti

Ci sono poi cose che non tornano anche in quello che succede prima del delitto di via Padre Genocchi.

Comportamenti che, secondo l’accusa, finiscono per rafforzare il movente dell’odio verso Giulia e supportare l’idea dell’omicidio premeditato. Ad esempio la spoliazione sistematica e progressiva dei propri beni rivolgendosi a un amico notaio.

Perché Cagnoni non informò Giulia del fatto che avesse venduto la casa di Ravenna a suo fratello?

Perché dopo aver controllato ossessivamente per un mese sua moglie - anche con un investigatore privato – proprio quel weekend la lascia così libera di fare la sua vita?

In fondo anche prima di quel venerdì sapeva che aveva un altro uomo.

E perché annulla gli impegni del venerdì mattina nella clinica di Bologna dove collaborava? E infine: perché si cambia di abito prima di andare a Firenze? Davvero girava sempre con i passaporti nell’auto? E perché anche i suoi figli rimasero sorpresi di quel viaggio a Firenze?

Perché così tanta fretta di partire, da non concedere a sua figlia maggiore nemmeno il tempo di salire a casa per prendere il cellulare che le era stato appena regalato e a cui teneva molto?

E perché dirle che quella fretta era dovuta al ricovero della nonna in ospedale, visto che la nonna stava bene ed era a casa?

A queste ed altre domande aspettano risposte una famiglia e una città.

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