Assolto il prete messo in croce per aver fatto cadere uno scooter

Rimini

RAVENNA. Accusato di essersi allontanato e di non aver prestato soccorso a un 17enne caduto in scooter nell’aprile del 2014 all’altezza dell’incrocio tra via Sant’Alberto e via Cilla, padre Pietro Gandolfi è stato assolto dal giudice Corrado Schiaretti «perché il fatto non costituisce reato» per l’assenza del dolo; in attesa delle motivazioni è lecito ipotizzare che il magistrato abbia accolto la linea difensiva dell’avvocato Enrico Maria Saviotti che aveva fatto leva, oltre che sul comportamento processuale del sacerdote, sulla mancanza della volontarietà. Nei confronti del prete, che si era opposto a un decreto penale di condanna a quattro mesi e mezzo, poi convertiti in una sanzione da 33mila euro con sospensione della pena, il vice procuratore onorario Claudia Lapazi aveva chiesto nove mesi.

E che il parroco di Casalborsetti non avesse avuto consapevolezza di essere in qualche modo coinvolto nella caduta del ciclomotore era emerso dalla testimonianza dello stesso imputato e in parte anche dalle parole della vittima dell’incidente. Quando era stato sentito in aula il sacerdote 80enne affermò di non essersi neppure accorto che il giovane fosse scivolato. D’altronde non c’era stato alcun contatto tra la macchina e lo scooter come peraltro accertato dalla Polizia municipale. Solo una volta completata la manovra, il parroco si sarebbe reso conto che il ragazzo era finito a terra, quando cioè «tramite lo specchietto retrovisore mi accorsi che un automobilista alle mie spalle mi stava lampeggiando. Così accostai pensando che ci fosse qualcosa nella mia macchina che non andava, ma non notai nulla. In quel frangente vidi in lontananza un ragazzo che si stava rialzando da terra e due persone che lo aiutavano spolverandogli i vestiti. Pensai fosse caduto ma siccome non mi ero reso conto di nulla e vedendo che lo stavano già assistendo, ripartii perché avevo degli impegni». Più tardi, quando si recò all’ospedale per andare a trovare un marittimo ricoverato, padre Gandolfi incrociò il padre del giovane ferito. Un incontro a suo dire del tutto occasionale. E quando sentì quell’uomo all’accettazione fare riferimento all’incidente, ebbe il dubbio di un suo possibile, per quanto indiretto, coinvolgimento, e per questo contattò prima la Polizia municipale e poi la Stradale. Atteggiamento che, come rimarcato dal difensore, stride con l’immagine «del “prete pirata” come a lungo è stato considerato»; nessuna fuga e nessuna omissione ad avviso del legale, tanto più che nessuno sarebbe mai risalito a lui considerando l’assenza di testimoni e di telecamere e il fatto che il 17enne aveva descritto la macchina come una Volkswagen Golf o Polo mentre Gandolfi guidava una Fiat Punto.

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