«Sul bastone il dna dei Cagnoni. E sui jeans sangue della vittima»

Rimini

RAVENNA. Nel bastone intriso del sangue di Giulia Ballestri è stato evidenziato anche un profilo genetico maschile riconducibile alla linea retta maschile della famiglia Cagnoni (oltre a extrapicchi contaminati di un’altra persona ritenuti marginali e riconducibili a un contatto occasionale col pezzo di arbusto). Mentre nei jeans sequestrati al marito a Firenze, sia in più punti sul tessuto che su un frammento di legno trovato in una delle tasche, l’analisi del dna sulle macchie ematiche ha restituito «una compatibilità completa» con il sangue della vittima così come dall’analisi dei cuscini spostati tra Romagna, Toscana ed Emilia il profilo riscontrato è quello della vittima.

Come affermato da Alessandra La Rosa, genetista del servizio di polizia scientifica di Roma che ha preso parte all’incidente probatorio come consulente della Procura, è della donna uccisa anche il sangue delle impronte palmari isolate nella villa dell’orrore di via Padre Genocchi, impronte che la scientifica di Bologna ha attribuito al dermatologo accusato di omicidio. Ma dai responsi di genetica forense che appaiono tutti contro l’imputato, è emerso un aspetto che lascia uno spiraglio alla difesa, ovvero la presenza sotto le unghie della vittima di un dna a componente maschile che non è né quello del medico né quello dell’uomo con cui Giulia aveva avviato una relazione.

Le testimonianze

Nel giorno in cui gli accertamenti sul traffico telefonico escludono che il 17 settembre Giulia Ballestri potesse essere ancora viva («alla chiamata della durata di 106” dall’utenza fissa di Firenze al cellulare della vittima la 39enne non ha mai risposto perché non ha agganciato celle ed è stata deviata sulla segreteria» ha spiegato Filippo Motta vice commissario dello Sco) e in cui viene mostrato il “film dell’omicidio” come ricostruito da tabulati e immagini delle telecamere relativi alle chiamate e agli spostamenti dell’imputato (un’annotazione multimediale dell’agente della scientifica di Roma, Giuseppe Feliciani su cui lo scontro in aula è stato marcato), è la genetica a farla da padrone.

La biologa sentita nell’aula della Corte d’assise presieduta dal giudice Corrado Schiaretti (a latere Andrea Galanti) illustra dati e conclusioni partendo dal bastone con cui Giulia Ballestri è stata colpita prima di essere finita massacrata contro lo spigolo di un muro dello scantinato. Su quel tronco, che per la Procura rappresenta una prova della premeditazione, la genetista individua senza dubbi il sangue della vittima. Ma in accordo coi periti quel ceppo fa risaltare anche materiale genetico maschile il cui studio ha restituito una compatibilità con la linea retta maschile della famiglia Cagnoni e un profilo marginale di un altro dna ritenuto frutto di una «contaminazione occasionale». In pratica, come emerso dalle domande del sostituto procuratore Cristina D’Aniello, quelle tracce di cromosoma Y riconducibili al dermatologo si spiegherebbero con un’impugnatura prolungata del bastone. In sostanza, per l’accusa, un’altra “firma” dopo le impronte sul muro e sul frigo.

A confortare la tesi della Procura sulla responsabilità penale del medico accusato di aver ucciso la moglie da cui si stava separando vi sarebbe poi il risultato delle analisi sui jeans sequestrati a Firenze, macchiati del sangue di Giulia. Appartengono al profilo genetico della vittima anche gli aloni ematici sul frammento di legno sbucato insieme ad alcune monete dalle tasche dei pantaloni e quelli sui cuscini ritrovati a Firenze che facevano parte delle poltrone della villa in cui la donna è stata uccisa.

La scala dei valori dei risultati delle varie campionature anche di altri elementi (il vetro di una torcia nell’auto del marito e le tracce nel bagagliaio) sembrano non lasciare molti margini. Ma a dati apparentemente a senso unico se ne aggiunge uno che sempre in apparenza contrasta con il resto, ovvero quello dell’analisi sotto le unghie della vittima dove il cromosoma Y ritrovato non è né del marito né dell’amante. Si tratta però come esposto dalla consulente «delle parti più esposte al contatto con oggetti e persone». L’unica certezza è che si tratta di un dna maschile ma «non si può sapere se adulto o un bambino» spiega la genetista rispondendo all’ipotesi della Procura su una possibile carezza ai figli. Anche perché, come fa emergere uno dei difensori, l’avvocato Giovanni Trombini, il dna sconosciuto è stato riscontrato in entrambe le mani.

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