Diffamazione contro "I Gingini", si profila il non luogo a procedere. In dieci a giudizio per i post

Ravenna

RAVENNA. A giudizio per i post e i commenti espressi ai tempi delle polemiche incandescenti legate alla presenza in centro della discoteca “I Gingini”, si ritrovano a dover rispondere in tribunale di diffamazione.

Ma la questione potrebbe non avere strascichi giudiziari. L’udienza che si aprirà oggi davanti al giudice Beatrice Bernabei potrebbe infatti essere di mero rinvio, visto che nei confronti di buona parte degli imputati è stata ritirata la querela in seguito all’accordo transattivo già definito tra le parti e che anche per le posizioni rimanenti sono in corso trattative per giungere ad un’intesa che porti alla chiusura del processo.

La genesi

Si profila quindi una sentenza di non luogo a procedere per tutti i protagonisti della vicenda che ha visto dieci persone finire sotto accusa per i giudizi al vetriolo comparsi su social network e siti di informazione.

Tra questi, oltre ad alcuni residenti infastiditi per il rumore in strada fino a notte fonda, anche una dipendente comunale, una della Provincia e persino due consiglieri di zona (uno di Lista per Ravenna e uno dei Cinque Stelle) a cui sono stati attribuiti commenti ritenuti offensivi postati a margine di alcuni articoli sul locale di via IX Febbraio nei quali si faceva riferimento a controlli operati nel 2013 dai carabinieri e a presunte irregolarità per le mancate autorizzazioni per il ballo che i gestori sarebbero riusciti ad aggirare classificando “I Gingini” non come disco pub ma come music pub.

Battaglia legale

A sporgere denuncia erano stati proprio i legali rappresentanti della società “Maloba” che aprì il locale, ovvero Gian Battista Ginghini, Mattia Montanari e Alessandro Zangaglia, assistiti dall’avvocato Giovanni Crocetti. I tre imprenditori si sentirono offesi non tanto dal contenuto degli articoli, quanto dai giudizi apparsi a corollario e decisero di adire le vie legali ritenendo fosse stato superato il confine della dialettica civile. Così partirono le denunce. Due degli indagati furono individuati subito dal momento che si erano firmati con nome e cognome. Gli altri furono invece identificati dalla polizia postale che scoprì che dietro al nickname “Therebel” si celava un consigliere di minoranza, che “Cate” era una dipendente comunale, “Born free” una della Provincia, mentre “Orso Tibetano” era il nome di un 53enne di Lugo, Livius74 quello di un 44enne ravennate, “Vivresavie” il soprannome di una 33enne di Ravenna, “Dubb Oh” l’acronimo di un 38enne e “Cittadino” quello di un 56enne di San Pietro in Vincoli.

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