Ciao Simone, talento fragile dal cuore d'oro

Rimini

Ci ha lasciato un talento formidabile, l’ultimo poeta del calcio giallorosso. Se n’è andato un giocatore che dopo l’ennesima delusione incassata dai tifosi del Ravenna a causa del fallimento-Aletti e la conseguente caduta tra i Dilettanti, aveva fatto subito tornare a tutti - a cominciare dal sottoscritto che non gli ha mai negato un 6.5 di stima anche quando si vedeva platealmente che si era alzato con la luna sbagliata - la voglia di andare allo stadio. Fosse il Benelli, o anche la tribuna sgarrupata del campo di Marina di Ravenna, quello che benevolmente accolse la squadra in attesa che il manto erboso dello stadio cittadino venisse riattrezzato. Era un giocatore che dipingeva calcio, uno di quei fantasisti che davano del tu alla palla come talvolta non si vede neppure nelle serie maggiori. «Se solo avessi creduto un po’ di più nei tuoi mezzi - gli hanno detto decine di dirigenti, allenatori e compagni di squadra, negli anni - avresti potuto giocare in serie A». Per nostra fortuna non è mai successo, quindi abbiamo potuto godercelo a Ravenna per tre campionati, due dei quali vincenti, capaci di riportare i colori giallorossi prima dall’Inferno della Promozione al Purgatorio dell’Eccellenza e poi, dopo un anno di assestamento, fino a quella D che era l’anticamera del Paradiso del professionismo. Se il Ravenna adesso abita in quel Paradiso lo deve anche al suo genio, che per tre anni gli ha permesso di inventare calcio e gol incredibili con la maglia della sua città, convivendo evidentemente con una pattuglia di demoni che abitavano dentro di lui e lo tormentavano puntualmente, giorno dopo giorno. Senza smettere mai, finché ieri non ha deciso di zittirli lui. Per sempre.
Nella sua ultima stagione giallorossa, poi, ci fu il grave problema ad un rene che venne risolto con un intervento che, però, mise a dura prova il proseguimento della carriera calcistica. Lui non ne volle sapere, perché proprio non voleva lasciare la squadra sola all’inseguimento di un sogno e allora bruciò le tappe per tornare in campo a tempo di record. E con un rene solo, rischiando l’impossibile, trascinò il Ravenna alla finale con il Ghivizzano, conclusa trionfalmente. Di lui non scorderemo mai le punizioni, telecomandate proprio dove voleva, come se giocasse a pallamano, con una media realizzativa che solo Mihajlovic, ai suoi tempi, poteva vantare. Ma soprattutto avremo per sempre negli occhi un fermo immagine, della stagione 2013/14, quando dopo avere realizzato l’ennesimo impeccabile rigore della sua carriera si aggrappò alla rete di recinzione dello stadio di Castiglione di Ravenna per esprimere il suo disappunto contro chi, a parere suo (e della maggioranza dei cuori giallorossi) aveva messo i bastoni tra le ruote al Ravenna nella corsa verso la promozione. Proprio come Vittorio Mero o come Toldo, Vieri, Buonocore, Zauli e tutti quelli che, in un modo o nell’altro, da qui hanno spiccato il volo, resterà per sempre nella storia del calcio ravennate. Parlavamo di Simone Rispoli, ma abbiamo provato a non nominarlo mai finora. Per fare finta che la notizia arrivata a tradimento ieri mattina non fosse vera.

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