L'omicidio di Giulia, le impronte palmari e le orme sul sangue inguaiano Cagnoni

Rimini

RAVENNA. Cagnoni questa volta fa il bravo veramente. Fermo. Immobile. Ma più che il fair play annunciato, a inchiodare il dermatologo sulla sua scomoda sedia di imputato a rischio ergastolo, sembra il peso delle accuse che poco alla volta emergono in aula. Una morsa che si stringe inesorabilmente. Una morsa di indizi, tracce, impronte digitali, impronte palmari, orme lasciate sulla polvere da un paio di Hogan dello stesso tipo di quelle indossate da Matteo Cagnoni il giorno dell’omicidio e orme lasciate sul sangue di Giulia da un paio di Timberland con le suole usurate nello stesso identico modo rispetto a quelle trovate sul termosifone della villa fiorentina dei Cagnoni. Ma anche tracce di sapone, usato per spazzare via con lo straccio le prove di un omicidio brutale e brutalmente imperfetto. Tracce che l’assassino, chiunque esso sia, pensava di aver fatto sparire. E in un certo senso aveva ragione. Solo che non aveva fatto i conti con le nuove tecnologie della Scientifica. Lampade ultraviolette e macchine fotografiche speciali che esaltano (e fotografano) quello che l’occhio umano non può vedere.

E così, dopo 8 ore di sfiancante udienza, quel che resta è un mosaico sempre più completo. Dove, al netto delle impressioni personali, è la scienza forense a lasciare ogni tessera al suo posto. Non sarà facile, anzi, non lo è mai stato. Ma dopo l’udienza di ieri per la difesa del dermatologo, provare a insinuare scenari alternativi per l’omicidio di Giulia, salvo sorprese, appare un’impresa a dir poco ardua.

Silenzio in aula

L’intervento del Commissario Francesco De Paolis, coordinatore del gabinetto regionale della Polizia Scientifica di Bologna, è il momento topico dell’udienza e appare incisivo ed esauriente. Un fiume di parole, chiare. Alcune persino superflue al buon senso. Una testimonianza seguita in religioso silenzio dal pubblico in aula, preso per mano dall’investigatore in quegli stretti corridoi di epoca fascista e condotto fino al cemento insanguinato dello scantinato dell’orrore. Qui Giulia venne finita e la Scientifica mostra con un disegno, per la prima volta, anche come e dove: forse presa per i capelli e sbattuta con il volto verso lo spigolo di un corridoio. Lo dimostra il sangue sui muri, lo dimostra un dente trovato per terra e lo dimostrano persino i calcinacci sui suoi capelli. Era già nuda e scalza Giulia. E le impronte lasciate sul suo sangue lasciano ipotizzare persino un disperato tentativo di fuga.

Le orme

Tra le tante impronte (due anche palmari) lasciate sul sangue, il commissario della Scientifica di Bologna si concentra soprattutto su quelle lasciate da un paio di Hogan. Sono quelle, per l’accusa, indossate da Cagnoni al momento del delitto. Le immagini della pasticceria “Le plaisir” dove Giulia e Cagnoni vanno a fare l’ultima colazione la mattina dell’omicidio – spiega il commissario – erano ad alta definizione. Così riescono a risalire al modello esatto di Hogan indossato dal dermatologo. Il caso vuole che si tratti di un modello con una suola “righettata” particolarissima e con una “H” al centro. Quella suola lascerà segni sulla polvere del parquet. Segni, per la Scientifica, incontrovertibili seppur non visibili all’occhio umano. Ma ad aggravare la posizione di Cagnoni c’è un ulteriore aspetto: quelle Hogan non verranno mai più trovate. Perché?

Le Timberland

Sul sangue della villa si trovano però anche altre tracce di altre scarpe. Sono quelle lasciate presumibilmente da una suola a “carroarmato”. E sono, per la precisione, tracce di polvere su sangue. Che vuol dire? Che qualcuno – ipotizza l’accusa – forse tornò a pulire indossando altre scarpe. Ma un paio di Timberland con “carroarmato” venne trovato dalla Mobile di Ravenna anche sul termosifone della casa di Firenze di Cagnoni. Erano state messe a lavare. Perché? A pensar male per eliminare tracce di sangue. E la procura pensa male. Sul punto il commissario De Paolis è ancora più incisivo e spiega che la suola di un paio di scarpe usate «lascia impronte uniche» come quelle di un polpastrello. Sulla foto indica ad esempio l’usura nella parte posteriore della scarpa. «Quelle orme – dice – sono più che compatibili con quelle scarpe».

L’acqua distillata

L’assassino, insomma, avrebbe cercato di pulire la scena del delitto. Ma in che modo? Nella villa non c’era l’acqua. Ma la polizia trova una tanica di acqua distillata. E una tanica simile, pochi giorni dopo, la ritrova anche nella casa di via Giordano Bruno di Cagnoni. Simile? N,o di più. «Dello stesso lotto – dice il commissario – di quella trovata sulla scena del delitto». In poche parole si accusa Cagnoni di essersi portato da casa preventivamente l’acqua per poi ripulirsi.

Il bastone

E da casa, per il pm, potrebbe essersi portato anche altro. Come il bastone usato per uccidere. «Era di un legno con la corteccia secca rossastra che tende a sfaldarsi – dice il commissario – dello stesso tipo rispetto a quello trovato nel suo garage di via Bruno». Ma una scheggia, aggiunge, venne trovata anche nei jeans di Cagnoni dopo il suo arresto. Ed era insanguinata.

La terrazza

Il commissario ha inoltre escluso di aver visto aperte le finestre o la porta finestra del terrazzo. Accessi da dove, secondo la difesa di Cagnoni, potrebbe essere entrato il presunto aggressore di Giulia. Ma se anche fosse, alla luce dell’udienza di ieri, verrebbe da farsi un’ulteriore domanda: perché uccidere Giulia in quel modo e poi perdere tempo passando lo straccio?

Domanda alla quale Cagnoni sarà chiamato a rispondere nel corso del suo attesissimo interrogatorio o magari in una delle future lettere da inviare al Corriere Romagna.

L’ultima, acquisita nei giorni scorsi nella nostra redazione dalla Procura, è stata messa agli atti ieri dal Pm Cristina D’Aniello a inizio udienza. «Ne chiediamo – ha detto il pm – una trasmissione in Cassazione». Corte, come noto, chiamata a esprimersi sulla legittima suspicione sollevata dall’avvocato Trombini per le presunte influenze mediatiche esercitate sui giudici popolari dai quotidiani locali.

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