Uccise il figlio con un colpo di pistola: ora la madre controlla che non esca di casa
La tragedia
Una storia di cronaca, ma anche una storia di amore e di odio. Una storia che può essere capita solo partendo dal 13 agosto del 2015 quando in una casa di via Fratelli Rosselli, a Faenza, ci sono alcuni ragazzi che giocano alla Play station in attesa di “far serata”. Con loro c’è anche Andrey Goncharov, 20enne di origini russe, ma residente da anni con la famiglia a Ravenna in via Cerchio e c’è il 23enne albanese Marin Gjeloshi che, poche ore prima, aveva comprato una Beretta 7.65 rubata da un marocchino in un parco di Faenza per appena 90 euro. Marin è affascinato dalle armi, ma non le conosce. E infatti dopo aver tolto il caricatore non sa che il primo colpo di una semiautomatica resta in canna. Per scherzo punta la pistola alla testa di Andrey e lo uccide. Poi scappa. Insieme a tutti gli altri amici. Verrà arrestato poche ore dopo e verrà condannato a 5 anni sia in primo che in secondo grado. In attesa della Cassazione è ai domiciliari nella sua abitazione di Faenza. Qui, pochi giorni fa, suona al campanello un’amica albanese di Andrey. Dice di volergli fare le condoglianze per la morte recente della madre e, come vuole la tradizione di quel paese, gli lascia 30 euro. Lui, un po’ sorpreso, ringrazia e per riconoscenza gli offre un po’ di erba da fumarsi. Ma poco dopo quella ragazza si presenta alla polizia per denunciarlo. Accanto a lei c’è anche la madre di Andrey : «Marin ha della droga in casa». La droga non è proprio in casa, ma fuori, in una specie di foro di areazione al piano terra che dà sulla strada. Qui la polizia trova circa 30 grammi di erba, ma anche 4 proiettili. Dello stesso calibro di quello che ha ucciso Andrey.
Marin torna così in carcere, ma il gip Rossella Materia non crede all’accusa di spaccio e lo scarcera, sottolineando le contraddizioni di chi lo accusa e anche lasciando intravvedere un possibile tentativo di incastrarlo.
Nella sua ordinanza il giudice definisce l’accusatrice “inattendibile” e ricorda che, sebbene non spetti al gip capire se ci sia o meno in atto un tentativo di calunnia, non sembrano esserci i gravi indizi di colpevolezza necessari per far incarcerare il giovane albanese. E in un passo dell’ordinanza sottolinea una frase scritta sul profilo Facebook di Andrey (ancora aperto a oltre due anni e dalla sua morte) in cui qualcuno scrive: «Amore mio, ti amo da morire, questa merda marcirà in galera». Ma i domiciliari di Marin durano però poco. Perché il tribunale del Riesame, pur riconoscendo “le lucide argomentazioni” del gip Materia sul capitolo spaccio, stigmatizza un altro aspetto: il giovane albanese non poteva ricevere quella ragazza in casa. E pertanto ha oggettivamente violato i domiciliari.