Colpì l'avversario con una gomitata. Multa da 30mila euro a un calciatore

Rimini

RAVENNA. Durante una partita di un campionato amatoriale di calcio colpì con una gomitata un avversario rompendogli il setto nasale.

A punire il gesto, due anni dopo, ieri non è stato un arbitro, ma il giudice penale del tribunale di Ravenna Federica Lipovscek che (accogliendo in pieno la richiesta avanzata dalla procura) ha condannato il calciatore in questione a 4 mesi di reclusione con la condizionale, convertendo il tutto in una pena pecuniaria da ben 30mila euro.

Naso rotto, prognosi di un mese

L’imputato era un difensore trentenne del San Potito, difeso dall’avvocato Alice Lusa di Lugo, querelato in sede penale e citato a giudizio in sede civile da un giocatore del Bizzuno.

I fatti si riferiscono a una partita infrasettimanale della stagione 2015 del campionato amatoriale Uisp tra le squadre, appunto, del Bizzuno e del San Potito dove l’imputato giocava in difesa.

Stando alla versione della parte offesa (e secondo la procura anche di altri quattro testimoni sentiti nel corso del processo) il difensore (cercando di non farsi vedere dall’arbitro) avrebbe colpito con una gomitata al volto l’avversario quando la palla era ormai lontana dai due, dunque con la chiara volontà di far male all’attaccante del Bizzuno in una fase calda del match. Una situazione, secondo l’accusa, per certi versi simile a quella che ai Mondiali del 1994 vide protagonista il terzino dell’Italia Tassotti contro lo spagnolo Luis Enrique. Anche in quel caso naso rotto e 9 giornate di squalifica per il terzino italiano che, però, non venne nemmeno visto dall’arbitro.

Poco dopo quel colpo il difensore del San Potito venne sostituito per evitare la reazione veemente dei compagni di squadra del giocatore ferito, al quale venne riscontrata al pronto soccorso una frattura del setto nasale con prognosi di 30 giorni.

«Non volevo fargli male»

L’imputato si è però sempre difeso dicendo di non aver voluto colpire volontariamente l’avversario. «Era una normale fase di gioco – ha detto ieri in aula il difensore – ho solo difeso la palla allargando il braccio». Non solo, l’imputato ha anche aggiunto di aver cercato di chiedere scusa nei giorni successivi al calciatore ferito: «Chiesi il suo numero a un loro dirigente, ma nonostante le mie chiamate non sono mai riuscito a parlargli».

Particolare non da poco se si considera che la parte offesa aveva manifestato la sua intenzione di ritirare la querela in caso di scuse che, però, non sono mai arrivate.

E poco dopo, oltre all’azione risarcitoria avviata in sede civile, ecco la querela presentata per lesioni personali volontarie.

L’avvocato del calciatore ieri mattina in aula nel corso della sua arringa aveva chiesto l’assoluzione invocando la cosiddetta “scriminante atipica dell’accettazione del rischio consentito nello sport”. Concetto giuridico che, detto in sintesi, prevede la non punibilità delle lesioni in caso di sana competizione sportiva.

Ma per il giudice - in attesa delle motivazioni della sentenza - è lecito ipotizzare che quel gesto non sia stato frutto di semplice agonismo, bensì di una vera e propria reazione violenta.

Di sicuro, in attesa di un probabile ricorso in appello, la sentenza di ieri potrebbe interessare i protagonisti di tante situazioni analoghe che ogni domenica si verificano su ogni campo da calcio. Sia quelli dei dilettanti che quelli professionistici. Nel secondo caso a far giustizia ci pensa ora il Var, nel primo potrebbero essere chiamati in causa sempre di più i tribunali.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui