«Sedute spiritiche nella villa dove è stato trovato il corpo»

Rimini

RAVENNA. «Teneva molto all’immagine esterna di famiglia perfetta e aveva cercato di convincere Giulia ad andare a vivere a Firenze o nella villa ai giardini pubblici, ma lei si era sempre rifiutata. Sia Matteo Cagnoni che il padre Mario avevano prospettato la soluzione del trasferimento come tentativo di far tornare Giulia sui suoi passi e salvare un matrimonio ormai in crisi. Ma lei, a cui era stata fatta terra bruciata attorno, non voleva lasciare la città né traslocare nella “villa degli spiriti” o “delle ombre”. Quell’appellativo, come mi spiegò, derivava dal fatto che il marito la chiamava così perché diceva che in passato aveva fatto all’interno di quella casa qualche seduta spiritica in cui erano stati evocati i figli di Mussolini».

La testimonianza

E’ quanto emerso in aula dalla testimonianza di Stefano Bezzi, l’uomo con cui Giulia Ballestri aveva allacciato una relazione, sentito come teste ieri al processo che vede imputato Matteo Cagnoni, accusato di aver ucciso la moglie da cui si stava separando. In quasi cinque ore di domande sia da parte del sostituto procuratore Cristina D’Aniello che del difensore del medico, l’avvocato Giovanni Trombini, il “camionista ignorante”, come lo aveva definito il dermatologo («con Giulia diceva sarebbe stato meglio fosse andata con un ballerino del Pineta o un cameriere»), ha ripercorso la storia d’amore con la donna con la quale «voleva vivere» e per la quale a sua volta aveva chiuso la precedente relazione. «Ci conoscevamo da ragazzi poi ci siamo rivisti nel 2009 perché i nostri figli frequentavano la stessa scuola». All’inizio tutto resta circoscritto ai saluti in occasione dell’inizio o della fine delle lezioni, poi a giugno la frequentazione, che in una prima fase resta nell’alveo dell’amicizia, si intensifica e diventa intima. «Giulia si confidò raccontandomi delle difficoltà familiari, mi fece capire che il rapporto con il marito, che la controllava in modo assillante, era ormai finito già prima della nostra relazione e che si trovava in un tunnel da cui non riusciva a uscire per l’amore che provava verso i figli».

L’aggressione

Che tra Bezzi e Cagnoni non ci fosse troppa sintonia emerge dal fatto che in una delle cene fatte insieme anche ad altre coppie il primo replica al secondo che avrebbe deciso lui vicino a chi sedersi a mangiare e deflagra quando ai primi di agosto dello scorso anno il marito scopre il tradimento della moglie grazie ad un’agenzia di investigazioni private a cui si era rivolto. «Giulia mi scrisse un sms: “per fortuna ci ha scoperti altrimenti non mi avrebbe mai lasciata libera”».

Pochi giorni dopo, a Marina Romea, Cagnoni affronta il rivale in amore, l’uomo a causa del quale «Giulia lo aveva disonorato». «Stavo sistemando le borse nel baule dell’auto quando mi sorprese alle spalle con calci e pugni. Cercai di mantenere la situazione sotto controllo visto che stava arrivando mia figlia e che ero anche armato. Per evitare qualunque reazione mi allontanai, lui si rifece avanti, io allora tirai fuori il telefono. Dissi che avrei chiamato i carabinieri e lui si allontanò poi andai al pronto soccorso a farmi medicare».

A quel punto Giulia gli chiede di non sporgere denuncia, spiegandogli che intendeva «assecondare la volontà del marito di mantenere la facciata di famiglia felice di fronte alla gente» e che stavano cercando un accordo per la separazione. Fino a quel momento però non si sarebbero dovuti vedere e il teste conferma anche che, come emerso in aula, in almeno due occasioni il detective privato li sorprende insieme. Su quelle incongruenze e sulle allusioni su una vicenda di una presunta violenza sessuale, per la quale però la posizione di Bezzi è stata archiviata, la difesa fa leva per screditare in qualche modo l’attendibilità del teste, ricevendo il rimprovero del presidente della corte.

Le indagini

Si arriva così alla scomparsa di Giulia il 16 settembre. «Quella mattina, dopo aver portato i figli a scuola e aver fatto colazione col marito, ci saremmo dovuti incontrare, dovevamo portare la sua auto a farla bonificare dalle cimici e dal gps che, era certa, il marito aveva fatto installare». Ma quel giorno non la vide né la sentì e nemmeno i giorni seguenti, facendo scattare insieme al fratello e all’amica di Giulia l’allarme. «Aveva paura, mi disse che se non l’avessi sentita per più di otto ore avrei dovuto preoccuparmi». E così accade, anche se in un primo momento pensa che possa aver accompagnato il padre a una visita. Come riferito dal sostituto commissario della squadra mobile Stefano Bandini, l’ultimo messaggio risale alle 23.03 del 15 quando lei manda a Bezzi la buonanotte. Il giorno seguente la donna segue il marito nella “villa dell’orrore” per le foto ai quadri che dovevano essere valutati. «Alle 9.19 dal cellulare di Cagnoni viene inviata una foto in cui accanto ai dipinti si scorge una persona vestita come quel giorno era vestita la vittima» spiega il poliziotto. Poi il telefono del medico sparisce, come quello della vittima che riceve due telefonate in entrata senza risposta alle 10.05 e alle 10.06. La cella agganciata è quella di via Fantuzzi che copre anche l’area della villa dove verrà trovato il corpo massacrato della donna e due impronte del marito sul suo sangue.

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